Chiara Valerio, finalista premio Strega 2024: “Ognuno di noi ha diritto all’inquietudine e all’avventura”
C'è anche Chiara Valerio, finalista per il premio Strega 2024 con il romanzo Chi dice e chi tace (Sellerio), tra gli ospiti del nuovo festival letterario Il Fiume dei Libri a Lodi, in programma da giovedì 13 giugno a domenica 16 giugno. Oggi pomeriggio, seguita dall'autore napoletano Maurizio De Giovanni, la scrittrice salirà sul palco di piazza della Vittoria per parlare di emozioni, amori, verità, enigmi del passato e silenzi del presente.
Dove è stato scritto Chi dice e chi tace? Da che intuizioni è partito?
L'ho scritto nell'estate del 2021 in Puglia, nella casa dei bisnonni di Marcella, la persona con cui sto. In quel momento stavo scrivendo un altro romanzo, Così per sempre: un'opera polifonica, dal tempo ininterrotto. Per riposarmi volevo scrivere un romanzo a una voce sola, che coprisse un arco di tempo contingentato. È stata una sfida con me stessa.
Al centro del romanzo c'è l'amore tra donne. Amore che si esprime in tante sfaccettature all'interno di una società fortemente patriarcale.
Il libro è ambientato negli anni Novanta. Un'epoca in cui ancora le parole per definire le cose che succedevano erano molto vaghe ma le tensioni sempre le stesse, forse ancora più feroci.
Perché proprio quell'epoca?
Mi interessava mettermi negli anni Novanta perché mi sembra che politicamente, prima dell'avvento di Berlusconi, siano stati gli ultimi tempi in cui il senso di salvezza (per quanto non ami questa parola) coincideva con un senso di comunità. Una comunità di corpi, in cui per guardarsi il giorno dopo bisognava non essere troppo accesi, troppo feroci. Mi piaceva parlare insomma di un periodo in cui i corpi portano con loro anche la cautela che oggi non vedo più, dal momento che comunichiamo attraverso strumenti che disincarnano.
Ritorno nel passato e ritorno a Scauri, città natale sulla costa del Lazio.
In realtà tutti i libri che scrivo mi riportano lì, e hanno sempre dei riferimenti a Scauri. Ho sempre scritto di Scauri, stavolta è solo più esplicito. Da lì non me ne sono mai andata davvero, né ho sentito la necessità di farlo: ho avuto la fortuna di vivere con dei genitori e con una comunità che non mi ha mai fatta sentire costretta.
Com'era l'infanzia lì? Che tempo era quello?
Felice. Senza che nessuno mi controllasse. Adesso torno durante le feste comandate, in qualche occasione particolare, quando posso. Ma i luoghi sono anche le persone che li abitano, e quelle persone sono mobili.
Parlando di Lea Russo, una delle protagoniste, ha nominato il "diritto all'inquietudine" di ognuno di noi.
Penso davvero che il diritto a volere qualche altra cosa, anche peggiorativa, faccia parte dell'esistenza. Lea Russo ha un matrimonio felice, due figlie, un lavoro che la appaga e comunque, quando inciampa in qualcosa che le fa intravedere un'altra vita, la segue senza sapere dove porterà. Ha guadagnato una posizione partendo dal nulla, ed è comunque pronta a mettere tutto in discussione per andare a vedere cosa c'è dall'altra parte. Un atto coraggioso in un presente in cui si rischia di vivere di rendita di posizione.
Lea Russo è alla ricerca di una nuova identità?
L'identità, in qualche modo, è il contrario dell'avventura. Lea Russo cerca il diritto di essere diversa da quello che pensa di essere. Di essere altro. E questo è stupendo.
C'è anche il lutto, il sentimento che si prova quando si perde qualcuno che non fa parte della nostra famiglia.
Io sono cresciuta all'interno di una comunità in cui la parentela era data dall'affinità linguistica, dalla prossimità di interessi: chiamavo zio o zia persone che non avevano nessun legame di sangue con me. Quando gli anziani che giocavano a briscola al bar morivano e non li vedevo più, per me era come se a morire fosse stato, appunto, un parente. Ma definire da dove si viene, cosa è mio e cosa è tuo, del resto, è una tensione politica recente. Io vengo da un altro mondo, non ho mai fatto la differenza. Mia madre, quando ero bambina, mi diceva: tu non lo capisci il sangue. Ed è così. Io non lo capisco il sangue.
Qualcuno, nel personaggio di Vittoria, ha visto qualcosa di Michela Murgia.
Vittoria è un personaggio che amo, Michela Murgia è una persona che ho molto amato. Ma il libro è stato scritto in un momento in cui Michela stava bene, in cui ridevamo, in cui ci facevamo gli scherzi. Anzi, secondo me Michela avrebbe odiato Vittoria… ma non voglio parlare per lei, che era sempre capace di sorprendermi.