Chi era Antonio Ranieri, politico e scrittore amico del poeta Giacomo Leopardi
Antonio Ranieri è stato un patriota, uno scrittore e un politico italiano. È stato un grande amico del poeta Giacomo Leopardi, che conobbe a Firenze nel giugno del 1828. Abitarono a Roma per due anni e, dal 1833, a Napoli, fino alla morte di Leopardi. Ranieri ne salvò le spoglie dalla fossa comune. Su di lui, il celebre poeta italiano scrisse: "Un mio amico, anzi compagno della mia vita, Antonio Ranieri, giovane che, se vive, e se gli uomini non vengono a capo di rendere inutili i doni ch’egli ha dalla natura, presto sarà significato abbastanza dal solo nome". Il 7 e l'8 gennaio, su Rai 1 andrà in onda una miniserie dedicata alla storia del poeta, chiamata Leopardi – Il poeta dell’Infinito, con Leonardo Maltese e Cristiano Caccamo nei panni dei due amici.
Chi era Antonio Ranieri, le opere e la carriera in politica
Antonio Ranieri è stato uno scrittore, politico italiano e professore di Filosofia all'Università degli Studi di Napoli. Viene ricordato anche per la sua relazione intima con Giacomo Leopardi e fu più volte deputato e senatore del Regno d'Italia. Per le sue idee dalla polizia borbonica, venne diffidato e girovagò in diversi paesi stranieri. Ritornato in Italia, si stabilì a Firenze, dove strinse amicizia con il poeta. Scrisse diverse opere letterarie, come il romanzo Ginevra o L'orfanella della Nunziata, nel quale svelò i gravi abusi perpetrati in quell'ospizio di trovatelli, suscitando così l'odio della polizia. Dopo la rivoluzione del 1848, fu eletto deputato al Parlamento napoletano. Nel 1861 fu eletto come deputato al Parlamento del Regno d'Italia. Nel 1882 fu nominato senatore del Regno.
Come ha conosciuto Giacomo Leopardi
Antonio Ranieri conobbe Leopardi a Firenze nel giugno 1828, essendo il poeta di Recanati, e da quel momento i due divennero inseparabili, fino alla morte del poeta. Il giudizio degli studiosi di Leopardi su Ranieri è diviso: da una parte c’è chi lo critica per aver pubblicato nel 1880 Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, un'autoapologia nella quale Ranieri, sconvolto per la morte della sorella Paolina, descriveva gli sforzi che i due avrebbero sofferto nell’assistere l’ingrato Leopardi. D'altro canto, c'è chi lo ammira per averlo assistito fino alla fine e, soprattutto, per ciò che ha fatto anche dopo la sua morte. Ranieri, infatti, salvò le sue spoglie dalla fossa comune e conservò i suoi manoscritti, curando i primi due volumi delle sue Opere e spendendosi affinché l’editore e i censori rispettassero le ultime volontà di Leopardi.
Lo stesso Leopardi lasciò un giudizio su Ranieri nel Pensiero IV, in cui lo definì: "Un mio amico, anzi compagno della mia vita, Antonio Ranieri, giovane che, se vive, e se gli uomini non vengono a capo di rendere inutili i doni ch’egli ha dalla natura, presto sarà significato abbastanza dal solo nome".
Il ruolo di Antonio Ranieri nella sepoltura di Leopardi a Napoli
Leopardi morì a Napoli il 14 giugno del 1837 durante un’epidemia di colera. Antonio Ranieri intervenì affinché la salma non fosse gettata in una fossa comune. La questione legata alla sua sepoltura è molto controversa: dal 1939 i resti di Leopardi sono ospitati nel parco Vergiliano e Pedigrotta, ma Ranieri raccontò che, grazie al suo intervento, le spoglie di Leopardi furono inumate nella cripta della chiesa di San Vitale “sulla via di Pozzuoli”. Successivamente, a sue spese, nel 1844 il sepolcro fu spostato nella chiesa e trasformato in parietale, ponendo sulla lapide un’epigrafe scritta da quello che Leopardi considerava una delle persone a lui più care, lo scrittore Pietro Giordani. Sulla questione, Antonio Ranieri fornì una testimonianza diretta nel suo libro Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi. Queste le parole:
Il cadavere fu salvato dalla confusione del camposanto cholerico. Ed assettato in una cassa di noce impiombata, e raccolto pietosamente in una sepoltura di ecclesiastici sotto l’altare a destra della chiesetta suburbana di San Vitale; fu quindi, non meno pietosamente, trasferito a suo tempo nel vestibolo della medesima, dove gli fu posta la pietra ch’ora si vede.