Chi è lo schiattamuorto? La storia e l’origine del termine napoletano
Nel suo libro “Nero Napoletano. Viaggio tra i misteri e le leggende di Napoli”, Marcello D’Orta afferma che “la figura dello schiattamuorto va a braccetto con la maschera di Pulcinella”: in questa città luce e ombra, spiritualità e superstizione, vita e morte s’intrecciano inesorabilmente, e lo schiattamuorto è forse il simbolo più significativo di questa straordinaria commistione. Ma chi è davvero costui, e qual è l’origine di un nome tanto inquietante e bizzarro?
Lo schiattamuorto altri non è che il becchino, colui che seppellisce i morti. Ma la lingua napoletana come spesso accade non si accontenta semplicemente di “definire” qualcosa: essa dona alle parole un significato molto più ampio e colorito, vivace, che nel caso dello schiattamuorto racchiude tutta la storia delle pratiche e delle tradizioni funebri a cui la città è devotamente legata da secoli.
L’origine della parola si perde nei tempi, e il suo significato è stato oggetto di svariate interpretazioni: la più accreditata è quella che vuole che il termine derivi dal verbo “schiattare” nel senso di “spremere” i cadaveri fino a far fuoriuscire tutti i liquidi, per poter far entrare più di un corpo nelle bare. Un’altra ipotesi è quella che la parola derivi direttamente dal francese “croque mort”, che letteralmente vuole significare “colui che divora la morte”: un appellativo poco lusinghiero, che in lingua francese designa molto spesso l’animale che si nutre di corpi morti.
Messaggero di malasorte
“Ormai per me il trapasso è na pazziella”: nella sua bellissima poesia “O’ schiattamuorto” Totò ci descrive il rapporto amichevole del becchino partenopeo con la morte, ed è proprio a causa di questa familiarità con essa che questa figura, a Napoli, è spesso associata alla malasorte. Una similarità inevitabile: l’arrivo del becchino può significare soltanto una cosa, ovvero che alla fine, la morte, trova la strada per arrivare fino a noi.
Nel tempo quindi, lo schiattamuorto ha avuto il privilegio di venire identificato con lo iettatore: non è raro trovarlo descritto, nei numerosi racconti popolari, come un uomo molto magro, smunto, avvolto da un impeccabile abito nero e circondato da un’aura di rispetto e timore. A quest’iconografia ha senza dubbio contribuito il famoso film “Questa è la vita” in cui proprio Totò interpreta Rosario Chiarchiaro, furbo iettatore dichiarato che tenta di ottenere una patente per la sua professione così fuori dall'ordinario. Ispirato al personaggio della novella “La Patente” di Luigi Pirandello, Rosario trasforma il pregiudizio del volgo ignorante in una lucrosa fonte di guadagno: chiunque voglia tenere alla larga la sfortuna deve pagarlo.
I' faccio ‘o schiattamuorto ‘e professione,
modestamente sono conosciuto
pe tutt' ‘e ccase ‘e dinto a stu rione,
pecchè quann'io maneo nu tavuto,
songo nu specialista ‘e qualità .I' tengo mode, garbo e gentilezza.
‘0 muorto mmano a me pò stà sicuro,
ca nun ave nu sgarbo, na schifezza.
lo ‘o tratto come fosse nu criaturo
che dice a ‘o pate: " Me voglio jì a cuccà ".