Chi è Jean-Jacques Rousseau, il filosofo che ha ispirato la piattaforma del M5S
Siamo agli sgoccioli. Ancora poche ore e finalmente sapremo se la piattaforma Rousseau del Movimento Cinque Stelle, autorizzerà la formazione del nuovo governo giallorosso. Ma come mai e soprattutto chi è colui che dà il nome a questa ormai famigerata piattaforma? L'opera del filosofo ginevrino Jean-Jacques Rousseau è da circa trecento anni al centro di un grande dibattito, in ambito filosofico, che oscilla tra l'etichetta di antesignana della "democrazia diretta" o "ispiratrice del totalitarismo".
Senza considerare l'esperienza dei manuali scolastici che in molti di noi hanno esperito in passato, dove una volta Rousseau diventava esponente del tardo illuminismo e altre volte pioniere del romanticismo, la sua dottrina politica sulla Volontà Generale è stata spesso discussa da importanti studiosi. Senza mettere in discussione la buona fede del pensatore nato nel 1712, tuttavia il suo pensiero continua a dividere nella perenne discussione sui principi e sulle regole della democrazia. Al punto che in molti, soprattutto dall'inizio del Novecento in poi, si sono posti il quesito: Rousseau è stato il teorico della democrazia diretta o dello Stato totalitario?
Rousseau: le critiche di Salvemini e Luigi Einaudi
Per quest'ultima ipotesi, ad esempio, protendeva Gaetano Salvemini nel volume "La Rivoluzione francese 1788-1792", dove lo storico e politico molfettese tracciò un ritratto del ginevrino, parlando di "infiltrazioni totalitarie" nel suo pensiero, criticando fortemente l'idea di Rousseau di "società perfetta", guidata da una maggioranza che, per Salvemini, Rousseau immaginava senza possibilità di alterazione, poiché tale maggioranza ha sì diritto di governare ma ha anche "il dovere di rispettare nella minoranza il diritto di critica e quello di diventare alla sua volta maggioranza". Questione inimmaginabile per il filosofo del XVIII secolo, che nel "Contratto sociale" del 1762 propose la rifondazione della società sulla base di un patto equo in cui il popolo rappresentava il corpo sovrano, solo detentore del potere legislativo e suddito di sé stesso.
Anche nelle sue "Prediche Inutili", Luigi Einaudi, criticò aspramente il pensiero del teorico della democrazia diretta, evidenziando diversi aspetti inquietanti del suo pensiero, a partire da quel "Contratto sociale" in cui si legge che il popolo è:
una moltitudine cieca, la quale spesso non sa ciò che vuole, perché raramente conosce quel che è bene per lei.
L'affermazione della volontà generale, dunque, per Rousseau prevede che il singolo debba essere piegato ad essa, "educato" dal legislatore. Secondo questa idea, dunque, il dissenziente, l'oppositore della maggioranza non ha il diritto di propugnare le proprie opinioni e quindi non ha il diritto, ove riesca a persuadere altri, di volgere la minoranza in maggioranza e di modificare le leggi. In questo modo però, diceva Einaudi, Rousseau ha teorizzato uno Stato totalitario:
Da Robespierre a Babeuf, da Buonarroti a Saint-Simon, da Fourier a Marx, da Mussolini a Hitler, da Lenin a Stalin, si sono succedute le guide a insegnare ai popoli inconsapevoli quale era la verità, quale era la volontà generale, che essi ignoravano: ma che una volta insegnata e riconosciuta, i popoli non potevano rifiutarsi di attuare.