Viviamo in un’epoca a forti tratti antieroici. Un’epoca di eroi assenti, potremmo anche dire. Dove l’eroismo sembra essere sostituito dalla vigliaccheria generalizzata e premiata con il successo (si pensi anche solo al caso dei terroristi o del comandante che abbandona la nave che sta affondando…). Dove il solo eroe ammesso è la vittima, chi ha subito traumi e ingiustizie: tema sul quale ha scritto recentemente un saggio illuminante Daniele Giglioli (“Critica della vittima”, Nottetempo Edizioni).
Chi è l’eroe? Propongo di partire da una definizione prospettata da Hegel nelle “Lezioni sull’estetica” (Bompiani, p. 509): “il soggetto resta comunque fedele a se stesso; rinuncia a ciò che gli è sottratto, però non gli sono soltanto sottratti gli scopi che persegue, bensì costui li lascia cadere, e così non perde se stesso. L’uomo, vinto dal fato, può perdere la vita, ma non la libertà. Questo fondarsi su di sé è ciò che permette anche nel dolore di conservare e fare apparire la serenità della quiete”.
Nel prospettare questa definizione dell’eroe, Hegel pensa all’epos omerico: Odisseo, Achille, Aiace sono i suoi riferimenti ideali. L’eroe resta fedele a se stesso: non tradisce il proprio ideale, cui resta stabilmente fedele. L’eroe è colui che quand’anche abbia perduto tutto non ha perduto se stesso. Si mantiene incrollabilmente nella coerenza e nella fedeltà al proprio progetto, costi quel che costi.
Egli può essere vinto dal fato: può, dunque, essere uno sconfitto, senza per ciò cessare di essere eroe. Quand’anche sia vinto, resta libero, perché fedele a sé, perché non mutato dagli eventi: non si è perduto. Il suo tratto essenziale – suggerisce Hegel – è il “fondarsi su di sé”, sull’autarchia morale di chi basta a se stesso e di chi non si lascia condizionare dalle mutevoli circostanze.
Si fonda su di sé perché, come dicevamo, è fedele al proprio progetto, non tradisce sé e la propria visione; ciò che gli permette di conservare la “serenità della quiete”, la calma compostezza, anche quando tutto è perduto, anche quando a prevalere è il dolore della sconfitta.
Per tutte queste ragioni è quasi superfluo ricordare la tragica assenza di eroismo che si rileva oggi su tutto il giro d’orizzonte