Confettura e marmellata sono parole che leggiamo centinaia di volte su banchi di mercato, scaffali di alimentari e supermercati, le udiamo in centinaia di pubblicità e quante volte le pronunciamo? Viene da domandarsi se ci sia una logica dietro che porta a usare un nome o l'altro, e la risposta è che c'è più di una logica, e quindi ci sono criteri d'uso diversi.
Criterio giuridico: la direttiva europea
Era forse possibile che non ci fosse una direttiva che disciplinasse la produzione e la vendita delle confetture, delle marmellate e delle gelatine di frutta, oltre che della crema di marroni? Ovviamente no. E questa direttiva, recepita in italia nel 1982 col DPR 401, ci fa il favore di definirci che cosa s'intende a norma di legge per ‘confettura': la mescolanza, portata a consistenza gelificata appropriata, di zuccheri e di polpa e/o di purea di frutta, che non deve essere inferiore al 35%. La confettura extra, sottinteso extrapregevole e ci immaginiamo supergustosa, ha il più alto limite inferiore del 45%. Anche se non sarebbe oggetto dell'indagine, leggiamo che per gelatina s'intende la mescolanza gelificata di zuccheri e di succo e/o estratti acquosi di frutta (anche qui 35% minimo). E la marmellata? Ecco il colpo di scena: per ‘marmellata' s'intende la mescolanza, portata a consistenza gelificata appropriata, di zuccheri e di agrumi. Minimo 20%. Quindi legalmente la differenza grossa fra confettura e marmellata è che la marmellata è di agrumi.
Criterio etimologico/filologico: le mele cotogne
Il termine ‘marmellata' però deriva dal portoghese marmelada: questo termine propriamente descriverebbe la conserva di mele cotogne. Marmelo infatti significa cotogno, dal latino melimelum, e prima dal greco melimelon, letteralmente melamiele, suggestivo e naïf. Peraltro questo marmelada portoghese passa nel medio francese marmelade, e quindi nell'inglese marmalade. Proprio qui, nel XVII secolo, accade l'imponderabile: la marmalade diventa la sola conserva di agrumi. E visto l'ascendente anglosassone sul linguaggio della Comunità Europea prima e dell'Unione poi, la marmellata UE è solo marmellata d'agrumi, anche se questa classificazione in Italia ci fa alzare il sopracciglio. Spiegato il colpo di scena.
Invece la nostra ‘confettura' salta fuori dal latino confectura, genericamente la ‘preparazione' (è derivato di confìcere ‘compiere') e vuole essere un calco del francese confiture, che aveva già preso il significato specifico di ‘conserva di frutta' (anche se avrebbe un certo respiro generale sul dolce, pensiamo al confetto). E a ben vedere, piuttosto che sulla specie di frutta, il discrimine tradizionale italiano fra confettura e marmellata sta nella consistenza (oggi diremmo nella texture). La frutta della marmellata è setacciata, frullata, macinata, diciamo omogeneizzata; quella della confettura è invece a pezzi, yum. Peraltro c'è da tirare in ballo la composta, che pare non differire molto da quest'ultima definizione tradizionale di confettura.
Criterio stilistico: fine e rustico
Pezzi o non pezzi, la marmellata sa di casereccio, rustico. La nonna che ogni anno compra cinquanta chili di albicocche da Orestone che ci ha gli alberi in paese prepara la marmellata, non confeziona la confettura. La confettura ha un che di ripulito, di raffinato: probabilmente a comprarla ci aspettiamo anche che costi di più. Invece la composta sa di rustico ma di rustico ricercato. Quella costa davvero, ha pezzi grossissimi e dev'essere fatta con ingredienti strampalati: se è fatta con prugne zenzero e anacardi è di sicuro una composta.