Cento anni fa nasceva Italo Calvino, l’uomo che ci ha fatto sognare
Era l’estate del 1985: l’anno della grande nevicata, di We are the world, di Juventus-Liverpool e della strage di Heysel; l’anno della nascita dello studio Ghibli, dell’elezione di Cossiga presidente, del megaconcerto Live Aid; l’anno dell’Achille Lauro, dell’assassinio di Gaincarlo Siani, del primo incontro fra Gorbachev e Reagan in Svizzera; l’anno di Ritorno al Futuro, dei Goonies, Legend, Rocky IV e Fracchia Contro Dracula; l’anno in cui nacque Mario Bros e in cui morì Italo Calvino.
Ma soprattutto l’anno in cui lessi il primo libro della mia vita. Ovviamente quel "soprattutto" è da leggere con molto distacco e ironia, un po’ come feci io, ad appena otto anni, con il Barone rampante fra le mani.
Mio padre era un professore, uomo allegro ma severo e d’altri tempi, che in quell’estate del 1985, mi impose la lettura di Calvino, fra i giochi, le letture di Topolino e il mare che più qualunque altra cosa catturavano la mia attenzione. Quindi, essendo già un piccolo lettore, si può pensare che mio padre non fosse in errore a credere che potessi dedicarmi ad un’altra – e per lui – più “elevata” lettura. Ma nonostante questo io mi opposi con tutte le mie forze a quella che mi sembrava una profonda ingiustizia, tanto da non soccombere in ogni modo, a quella che mi sembrava una stupida e nazista punizione: restare in casa, senza tv e senza giornaletti, fin quando non avessi letto quel romanzo. Ma io, piuttosto che piegarmi al volere paterno, restavo seduto sul divano a fissare il vuoto con quel “maledetto” libro sulle gambe.
Avevamo, a quanto pare, entrambi della teste molte dure e nessuno dei due aveva intenzione di cedere seppure, alla fine, mio padre si mostrò più furbo: “Non importa dai, non leggerlo, tanto è per grandi quel libro, non per i bambini piccoli, hai ragione tu.” E lo mise via, sul terzo ripiano della libreria, copertina rivolta verso di me. Ora, direte voi – e me ne rendo ben conto anch’io – che è sbagliato imporre la lettura ad un bambino, perché rischi di sortire l’effetto opposto, ma mio padre, era uomo d’altri tempi e seppure non avesse mai alzato un singolo dito su di me, non era poi così incline al dialogo. Però quella frase "è per grandi quel libro, non per i bambini piccoli, hai ragione tu" continuava a risuonarmi nella testa, senza darmi tregua.
Fu così che il dieci luglio del 1985, l’anno della grande nevicata, per dimostrare a mio padre di essere “grande” cominciai a leggere il Barone rampante e non smisi, senza quasi mai interrompermi, se non per mangiare – ma a fatica e dopo svariati richiami e urla materne -, fino a quando, qualche giorno dopo, non ebbi finito l’ultima pagina della storia di un ragazzino di 12 anni – poco più grande di me – che non si piegava davanti a nulla e nessuno. Anzi, forse è più giusto dire che da quel dieci luglio non ho mai più smesso di leggere. Quelle pagine non mi avevano catturato: mi avevano letteralmente liberato e trasportato altrove e altroquando: e mio padre, felice, mi guardava fantasticare.
Da lì in poi fu passione incontrastata per molti anni a venire: Marcovaldo ovvero le stagioni in città, gli altri della trilogia degli Antenati, (Il visconte dimezzato, Il cavaliere inesistente), poi più avanti, dopo un lungo periodo di pausa, una nuova esplosione d’amore post-adolescenziale con Se una notte d'inverno un viaggiatore, Gli amori difficili fino a ovviamente a Le città invisibili e forse il preferito dei miei vent’anni: Il sentiero dei nidi di ragno, "il più straordinario documento del Calvino partigiano e combattente". Un’incredibile antologia della letteratura italiana in un solo autore: dal neorealismo al postmoderno, pur tenendo sempre una certo distacco da esse e anzi mantenendo sempre una personale coerenza poetica.
Certo, il rapporto con i libri – e con mio padre ca va sans dire – non è sempre stato così gioioso, anzi, spesso molto problematico, tumultuoso e per lunghi periodi – fin troppo lunghi – non “ci siamo parlati” (e sì, non mi riferisco solo ai libri). Ma oggi, trentotto anni dopo, scrivo di professione, apro un libro ogni volta che posso e cerco di non imporre al mio bimbo e alla mia bimba cosa leggere o a cosa giocare, anzi spesso leggiamo, scriviamo e raccontiamo storie insieme. E posso dire che, forse in definitiva, tutto ha avuto inizio in quell’estate del 1985, l’anno della grande nevicata, l’estate in cui mio padre mi aveva fatto conoscere Italo Calvino.
Oggi, 15 ottobre, sono passati esattamente cent’anni dalla sua nascita a l’Avana (cosa che per certi aspetti lo rende ancora più attraente ed esotico se non per il nome che la mamma gli aveva dato – in un moto patriottico che poco si addice al futuro autore – proprio a causa del luogo in cui era nato) e il mio direttore potrebbe giustamente fami notare, con disappunto, che in questo pezzo non ho scritto nulla di lui, di Italo Calvino, uno dei più grandi autori della storia contemporanea. È assolutamente vero, ma, per sua stessa ammissione, non amava per nulla parlare di sé: "Io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere (quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all'altra. Mi chieda pure quello che vuol sapere e glielo dirò. Ma non le dirò mai la verità, di questo può star sicura". E tuttora, le sue opere parlano, eccome.
C’è un giudizio o meglio un pre-giudizio che spesso lo segue (o insegue) e tanto mi ferisce: che sia un autore per ragazzi e ragazze, per giovani, per età scolare, un autore “leggero”, nel senso meno alto del termine, perché nell’usare quell’accezione della parola, ci si dimentica troppo spesso quanto difficile sia essere “leggeri e pesanti” al tempo stesso, e lui era maestro in questo: "La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città… alla struttura del racconto e al linguaggio". Calvino era l’autore che trasformava l’ordinario in straordinario, il quotidiano in eterno, il reale che inaspettatamente diventa fantastico: il pesante che si mescola al leggero, incanto e disillusione, la meraviglia del creato e l’orrore dell’uomo, la conquista del bambino e la perdita dell’adulto, la leggerezza del sogno e la pesantezza del reale: anime che convivono, opposte e ugualmente necessarie.
Calvino il partigiano, Calvino il poeta, il sognatore, l’idealista, Calvino lo scrittore, l’editore, giornalista, traduttore, librettista, Calvino che non si stancava mai di cercare la bellezza in ogni angolo del mondo, in ogni anfratto del brutto, in ogni città invisibile. Italo Calvino. L’uomo che ci ha fatto sognare. "Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori".