Carnevale: le maschere più irriverenti della tradizione napoletana, da Pulcinella a Tartaglia
Il Carnevale, soprattutto al Sud, ha origini antichissime legate agli antenati greci e romani. Un insieme di riti pagani e cristiani, in cui i vecchi Baccanali si confondono con le celebrazioni della Quaresima: tutta Italia è disseminata di antiche tradizioni, e quelle più note ed irriverenti sono senza dubbio quelle napoletane. Un modo, quello del Carnevale, di stigmatizzare paure ed ansie per l’anno a venire, e soprattutto un forte strumento politico per ironizzare sul potere: da Pulcinella a Tartaglia, ecco la storia delle maschere più irriverenti e bizzarre della tradizione partenopea.
Soprattutto a Napoli i fasti legati al Carnevale si radicano nell’anima più profonda del popolo, che fin dai tempi del Viceregno Spagnolo riempivano i vicoli e i quartieri della città con maschere, balli e tarantelle. La festa durava per oltre un mese, inaugurata dal celebre “cippo” di Sant’Antonio Abate, un grande fuoco sul quale finivano bruciati tutti gli oggetti vecchi, simbolo di rinascita e rinnovamento. Enormi carri decorati con cibo e prodotti succulenti attraversavano le vie della città, mentre le numerose maschere della tradizione prendevano vita.
Pulcinella, simbolo di Napoli
La maschera più antica, e decisamente la più famosa, è sicuramente quella di Pulcinella: le sue origini sono incerte, probabilmente confuse fra gli antichi rituali delle Atellane e la più moderna Commedia dell’Arte: certo è che nei secoli Pulcinella non ha mai perso quelle caratteristiche che lo hanno reso il simbolo della città e dello spirito popolare più autentico. La versione più accreditata circa le sue origini è che l’adunca maschera nera sia stata ispirata da un contadino di Acerra, Puccio d’Aniello: la faccia indurita dal sole e il naso adunco sono così diventati, nascondendo l’ingenuità, l’euforia e la miseria, la maschera più famosa di Napoli.
Spagnoli e presunti dottori: la satira carnevalesca
Meno conosciuti ma senz'altro altrettanto rappresentative della storia popolare partenopea le maschere di Scaramuccia e di Tartaglia. La prima è ispirata ai modi e agli abbigliamenti di un Capitano spagnolo, vestito di tutto punto con cappello piumato, scarpe lucenti e spada: i documenti raccontano di grandi sfilate per le vie di Napoli in cui decine di Pulcinella accompagnavano lo Spagnolo per le vie della città aizzandolo, con grida e scherni, a ballare la tarantella Una tradizione profondamente radicata nelle vicende storiche della città, la cui dominazione straniera viene riletta e reinterpretata con schiamazzi e prese in giro.
La sua storia si confonde con quella di “Giangurgolo”, macchietta anch’essa ispirata all’esercito spagnolo: instancabile donnaiolo e irrefrenabile mangiatore, il suo personaggio nasce dall’incontro della cultura napoletana con quelle del profondo sud. Parla un calabrese sporcato di napoletano, e il suo ruolo all’interno del colorato Carnevale è proprio quello di mettere in ridicolo i numerosi contadini della Calabria che al tempo affollavano la città in cerca di fortuna.
Inconfondibile tonaca verde scuro, enormi occhiali e una parrucca bianca e rossa sono stati per secoli i tratti distintivi del “dottor” Tartaglia: personaggio infimo ma dotato di grande autostima, convinto di essere il medico migliore della città, sfilava con i suoi attrezzi del mestiere per le strade e attraverso la gente, protagonista molto spesso di scenette e gag esilaranti.