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Carnevale, la maschera nell’arte: i mille volti dell’uomo dal Barocco all’età moderna

La maschera è l’elemento centrale del Carnevale, ma anche simbolo e allegoria dei più svariati aspetti della vita dell’uomo: come ritorno alle origini, come metafora dell’arte o dell’amore, molti grandi pittori hanno parlato attraverso di essa.
A cura di Federica D'Alfonso
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Emil Nolde, Maschere (1911)
Emil Nolde, Maschere (1911)

Il Carnevale è una festa profondamente significativa: simbolo di rinascita e rinnovamento, cade nel periodo dell'anno in cui l'inverno muore e lascia lentamente posto alla primavera. Uno degli elementi tipici del Carnevale è la maschera: travestimento e dunque inganno, ma anche effimera illusione di irrealtà e sogno. Non è un caso che essa abbia assunto tantissimi significati, e abbia arricchito l'immaginario di molti pittori, soprattutto in epoca barocca e moderna. L'arte è piena di storie legate a questo oggetto, alcune davvero affascinanti.

L'arte, come maschera della realtà

Lorenzo Lippi, Donna con maschera
Lorenzo Lippi, Donna con maschera

La maschera è prima di tutto simbolo per eccellenza dell'arte: del teatro in modo diretto, ma anche di poesia e pittura, per la sua magica facoltà di nascondere la realtà e rivestirla di altri significati. Questo è uno dei riferimenti presenti al pittore Lorenzo Lippi quando dipinge l'emblematico ritratto femminile conservato al Museo di Angers, in Francia. Una donna misteriosa ci guarda dritta negli occhi, in una mano tiene una maschera, nell'altra un melograno: l'interpretazione più immediata è quella di un'allegoria della menzogna, della realtà che si contrappone alla falsità. Ma alcuni hanno identificato il misterioso soggetto del quadro con la musa del teatro tragico, e in questo senso la maschera non sarebbe altro che simbolo della mistificazione più affascinante della realtà: l'arte.

La maschera ingannevole dell'amore

Bronzino, "Allegoria del trionfo di Venere" (1545)
Bronzino, "Allegoria del trionfo di Venere" (1545)

In quest'opera, dipinta dal Bronzino nel 1545 e oggi conservata alla National Gallery di Londra, è mirabilmente racchiusa l'essenza del Manierismo italiano: uno stile idealizzato quasi all'inverosimile, molto raffinato, e destinato sicuramente ad un pubblico molto colto. Letto generalmente come allegoria dell'amore sensuale, il quadro racchiude molto di più: le maschere disseminate nel dipinto, in basso a destra e in alto a sinistra, simboleggerebbero l'inganno amoroso al quale Cupido e Venere si sottopongono vicendevolmente. La figura in alto è concitata, sembra quasi voler avvertire i due amanti di ciò che li aspetta: ma il Tempo, incarnato dal vecchio barbuto, glielo impedisce. Tutto deve andare secondo uno schema ben preciso, in cui l'inganno è una delle conseguenze naturali dell'amore.

A ciascuno la sua maschera

"Sua cuique persona" (1510)
"Sua cuique persona" (1510)

A ciascuno la sua maschera” ci dice questo dipinto. Un vero e proprio enigma: attribuito a Raffaello o più probabilmente al Ghirlandaio, tanti sembrano essere i significati nascosti dietro questo piccolo olio raffigurante una maschera priva di vita. Ma la stessa allegoria nascosta dietro l'opera può aiutare a svelarne il senso: i leoni sono simbolo di forza e brutalità, mentre i due delfini in alto con le code intrecciate sono simbolo di unità e accordo strategico. C'è poi il volto di una volpe, simbolo dell'astuzia. Il significato di questo dipinto è da ricercarsi molto probabilmente in un'altra opera, stavolta letteraria: ne “Il principeMachiavelli usa infatti questi due animali, la volpe e il leone, per tratteggiare allegoricamente i due aspetti contrapposti ma inscindibili della vita politica, ovvero la forza bruta e l'astuzia. Un collegamento implicito, ma suggerito anche dalla particolare funzione che questa piccola tavola doveva avere: nascondere, per conservare, un altro dipinto. Un uso comune nel Cinquecento, che suggerirebbe che sotto la maschera ci fosse dipinto un uomo politico.

La maschera e la vita primordiale

Emil Nolde, Maschere (1911)
Emil Nolde, Maschere (1911)

I colori violenti di Emil Nolde in questo caso non lasciano scampo: si tratta di una scena surreale, a tratti inquietante, dipinta nel primo decennio del Novecento. Stavolta, la maschera si trasforma in qualcosa di ancestrale, di primitivo: simboleggia il legame, ormai reciso dall'uomo moderno, con la propria “animalità”, con la religiosità più pura e forte, quella che appunto caratterizza certi usi e costumi delle tribù africane che tanto attirarono i pittori come Nolde. La maschera in questo caso rappresenta un'altro mondo, una visione onirica e mistica: una sorta di specchio di una vita che l'uomo moderno ha perduto e dimenticato, e che può conoscere soltanto attraverso la rappresentazione stessa.

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