Capodanno, le ricette di Andrea Camilleri: le sogliole fritte e la “munnizza” della nonna
Per il mondo della cultura italiano, e non solo, l'anno che sta per finire è stato segnato soprattutto dalla morte di Andrea Camilleri. Lo scrittore siciliano, inventore del commissario Montalbano, del paesino di Vigata e, soprattutto, scrittore e "raccontatore" ineguagliabile, ci ha lasciati all'età di 93 anni lo scorso 17 luglio, dopo oltre un mese di ricovero in ospedale. In molti, per anni, abbiamo approfittato delle vacanze natalizie e dei giorni a ridosso dell'anno nuovo per leggere e regalare i suoi libri. Anche quelli in cui l'autore nativo di Torre Empedocle ha raccontato il suo passato, l'infanzia siciliana, da cui ha tratto gran parte della sua enciclopedica e stupefacente aneddotica che ad ogni occasione pubblica, durante una presentazione o un'intervista televisiva, ha affascinato i suoi lettori.
Tra queste oggi spunta, a spulciare tra le pagine di interviste passate, lo specialissimo menù di Capodanno da ragazzo passato in famiglia, nella sua Sicilia, quando a cucinare era la nonna. In un passaggio di un'intervista a Repubblica di qualche anno fa, Andrea Camilleri, rivelò quali erano i piatti che segnavano più di tutti il passaggio da un anno all'altro. E lui rispose, alla maniera di uomo d'altri tempi qual era: "le sogliole e la munnizza della nonna Elvira".
Le sogliole. Gigantesche e fritte. E soprattutto la munnizza della nonna. Una cosa meravigliosa che io continuo a fare e che farò anche quest'anno.
La "munniza"? Nome davvero insolito per un piatto. Tuttavia Camilleri non esita a darcene la ricetta:
Si comincia con uno strato di gallette da marinaio inumidite d'acqua, gli si sovrappone uno strato di verdure cotte e verdure crude, e così via continuando fino a formare una sorta di panettone. La munnizza si condisce con fette di limone, uova sode tagliate a fettine, patate lesse tagliate a fette, radicchio, sarde, anciove belle sistemate in linea retta. Uno strato dopo l'altro viene una montagnola coloratissima. Bisogna lasciarla riposare anche un giorno.
Ancora più interessante, è il racconto delle origini della "munnizza" di casa Camilleri. Un aneddoto che affonda le sue radici in un'altra epoca, in un'altra Italia, nel corso della Seconda guerra mondiale. È lo stesso Camilleri, in un articolo su La Stampa, a raccontare perché e come sua nonna Elvira inventò quel piatto:
Una sera, verso la fine del gennaio 1943, si scatenò una specie di rivolta famigliare capeggiata dallo zio Massimo. Ci unimmo tutti a lui al grido: «Basta verdura!». Battevamo le posate sulla tavola, come fanno i carcerati in segno di protesta. Certo, un po’ lo facevamo per celia, ma un po’, soprattutto, per non morir.
Nonna Elvira rimase tranquilla, ci guardò tutti coi suoi grandi occhi neri e ironici e poi, con un sorriso divertito, ci smontò dicendo una frase semplicissima: «Questo passa il convento». Ma la nostra ribellione dovette colpirla. (…) Fatto sta che due sere dopo, venuta l’ora di cena, quando fummo tutti seduti, nonna Elvira arrivò dalla cucina seguita dalla cameriera, che reggeva a due mani un grande piatto da portata e lo posò al centro della tavola. (…)
Guardammo la nonna increduli, come a chiederle che cosa fosse quella specie di magnifico, alto panettone variopinto, ma lei si limitò a passare coltello e paletta al nonno perché se ne tagliasse la prima fetta. Ricordo ancora l’impressione che mi fece il primo boccone. Una squisitezza! Una delizia! Sentii il petto che mi si slargava. Chiusi gli occhi per assaporarlo profondamente, in concentrazione, e anche per cercare di capirne la composizione.
Era certo verdura, come ogni altra sera, ma… Mia nonna aveva inventato un suo piatto! Quella volta stessa lo battezzò «la munnizza», perché, come la mondezza, conteneva una quantità di cose diverse tra loro. (…) Non crediate che fu la fame o la novità a farci apprezzare quella sera la straordinaria invenzione di nonna. Il piatto era squisito in sé. Qualche giorno appresso nonna rifece la munnizza e allora scoprimmo che era meglio mangiarla ventiquattr’ore dopo, tenendola al fresco.
Da allora è diventato piatto tradizionale della nostra famiglia. Io personalmente la faccio almeno una volta, a Natale. Ma solo io so, unico sopravvissuto di quella sera del 1943, che festa per gli occhi e per il palato significò per noi la munnizza.