Campiello 2014: Vince Giorgio Fontana
L’opera premiata è edita da Sellerio e s’intitola Morte di un uomo felice. (Sellerio) Cosa possiamo dedurre dal titolo? Che Fontana gioca di contrasto con l’uso di un aggettivo spiazzante. Se si apre il libro la prosa sembra sicura, e la costruzione del racconto ferma e precisa. La storia è ambientata nell’ottantuno, anno della nascita dell’autore e uno degli ultimi della lotta fra lo stato e il terrorismo comunista. Il protagonista, Giacomo Colnaghi, è un ispettore di polizia profondamente dedito al suo lavoro, scherzoso e umbratile, che sacrifica la vita familiare per abitare in un appartamentino squallido nel Casoretto, quartier generale della banda di rivoluzionari milanesi di Gianfranco Bellini.
Il romanzo si snoda fra differenti stili che fanno pensare ad autori diversi: momenti di espressione emotiva piuttosto spiazzanti, capacità di costruire una storia robusta e su piani narrativi differenti, compresenza di molteplici punti di focalizzazione. Accanto a Giacomo c’è, ad esempio, l’amico Mario, una sorta di coscienza lirica che fa da specchio rivelatore del suo carattere; ci sono due colleghi con cui collabora attivamente nella al Casoretto, descritti con humor vincente; c’è perfino Roberto Doni, protagonista del precedente romanzo di Fontana, intitolato Per legge superiore. La vita del protagonista è assorbita dall’ossessione per il suo lavoro, e la costanza con cui vi si applica lo porta ad arrestare l’autore di un omicidio politico, un terrorista detto il Meraviglia. Proprio questo, però, lo spingerà nel mirino del braccio armato della rivoluzione, che agisce tra le mura del quartiere.
Scarno, stilizzato e ben strutturato, il romanzo piace e avvince. È stato rilevato da più parti ( si pensi, su tutto, a una recensione recente di Benedetta Tobagi) che Morte di un uomo felice è il primo romanzo su di una morte causata dal terrorismo in Italia. Ed è forse perché colma questa mancanza che ha avuto successo: è d’obbligo qui enfatizzare la parola romanzo. Le riflessioni sul terrorismo del secondo Novecento in Italia sono state affidate ad altri media: questo forse perché quella del Novecento è stata una storia troppo rapida perché vi si sedimentasse uno spirito romanzesco. Qui invece Il tono riflessivo, la patina sottile che oscilla fra l’introspezione e la stilizzazione del contesto, il diverso spessore umano che di norma acquisisce una vicenda narrata attraverso la scrittura letteraria sono, potremmo dire, caratteristiche che hanno distinto l’exploit di Giorgio Fontana.
Non c’è terreno più fertile oggi, per la scrittura di un romanzo, che la vita vissuta, e soprattutto la vita vissuta che ci appare indecifrabile: non è improbabile che il romanzo di successo sia il romanzo che arriva al momento giusto, quello che scioglie nodi, si sofferma, riflette e rielabora lutti, facendolo con il proprio linguaggio. Raccontare storie sarebbe inutile se non ci fosse, nel racconto, quest’attitudine eminentemente riflessiva che caratterizza il vivere, o ri-vivere, gli eventi. Il sottovalutare questa necessità rappresenta un po’ lo sciovinismo con cui si guarda alla scrittura; la capacità di riempire vuoti di cui magari non si concepiva neanche l’esistenza, la capacità di far capire al lettore che questi vuoti ci sono, soffermandocisi, entrandovi con la cura che è propria della parola scritta, questo è, forse, il discrimine sul numero di persone che ciascuno scrittore si trova davanti quando riapre la porta.