Se fosse ancora vivo, festeggerebbe oggi i suoi 198 anni. Non sto parlando di qualche rampante divo del cinema, di qualche “eroe” della finanza o di qualche ipotetica velina invecchiata. Alludo, invece, a colui che per primo ha posto le basi per una critica spietata del mondo dello spettacolo e dell’unico dei totalitarismi del novecento che ci siamo portati nel nuovo millennio, il capitalismo oggi celebrato come regno della libertà universale: alludo a Carlo Marx, rivoluzionario di professione, filosofo critico e nemico irriducibile dell’economia di mercato oggi trasfiguratasi in monoteismo del mercato.
Almeno nel giorno del suo compleanno, risparmiamoci la solita noiosa, falsa e addomesticante lagna rievocativa: in fondo, celebrare agiograficamente Marx è uno dei molti modi per dichiararlo morto e inoffensivo, per trasformarlo in un monumento da venerare nella certezza che, con lui, anche le sue “armi della critica” siano sepolte. Significa farne l’analogo del volto del Che reclamizzato sulle magliette vendute a buon mercato negli ovunque imperanti templi della merce.
Proviamo, allora, a rovesciare il modo di operare, non diciamo quant’era bravo Marx, quanto ci ha insegnato, quanto aveva visto lungo: chiediamoci, invece, cosa direbbe oggi se fosse ancora vivo. Cosa direbbe Marx se vedesse che dopo il 1989 non ha trionfato, come sempre si dice, la “libertà”, ma quella “religione del libero mercato” – sono parole di Carlo, 1847 – che ha reso sempre più diseguale il pianeta e sempre più reificate le esistenze dei suoi miseri abitatori? Cosa direbbe Marx se vedesse che oggi il sistema bancario porta via le case agli esseri umani in nome del sacro dogma della competitività? Come reagirebbe Marx se vedesse che la sua profezia s’è realizzata e che tutto è diventato merce, compreso l’utero delle donne?
Cosa direbbe a fronte del fatto che il colonialismo non è stato vinto, ma sopravvive nello sfruttamento atroce dei migranti fintamente accolti e realmente usati come nuovi schiavi dal capitale? Cosa direbbe Marx se vedesse che l’“aristocrazia finanziaria” (così nel terzo libro del “Capitale”) ha effettivamente preso il sopravvento e sta privando la restante parte della popolazione sia del futuro, sia dei diritti più elementari?
Cosa direbbe Marx se vedesse la sua classe di riferimento, i dominati, ormai privi di rappresentanza, traditi dalle sinistre passate dalla lotta contro il capitale a quella per il capitale? Cosa direbbe, ancora, Marx se vedesse le scene di ordinaria quotidianità degli esseri umani che muoiono di fame ai bordi delle strade delle metropoli opulente?
Cosa direbbe, poi, di un mondo in cui l’incantesimo del feticismo delle merci non ha cessato di esercitare i suoi effetti più perversi, facendo degli esseri umani i semplici mediatori delle merci? Tante domande. Poche risposte, forse. E però ripensare a Marx oggi, nel giorno del suo compleanno, dovrebbe anzitutto servire a questo: a tornare a porsi queste e simili domande, a essere un po’ meno conciliati con un mondo le cui contraddizioni continuano a essere, all’ennesima potenza, quelle denunciate a suo tempo da Marx. Dovrebbe servire a prendere atto che nel tempo falsamente pacificato che si autocelebra come “fine della storia” qualcosa, dopo tutto, continua a mancare.