Ieri abbiamo pubblicato le prime impressioni (o pagelle dei giornalisti, chiamatele come preferite) delle canzoni che ascolteremo al prossimo festival di Sanremo 2025 che comincerà martedì 11 febbraio e si chiuderà con l'elezione del vincitore nella notte tra sabato 15 e domenica 16 febbraio. I primi ascolti, come scriviamo sempre, sono, appunto, primi ascolti, ovvero un momento per farsi un'idea di quello che ascolteremo al festival, ma senza la possibilità di cogliere tutte le sfumature di testo, musica e significato, benché, comunque, rende almeno l'idea di quello che succede: se le canzoni rispecchiano il presente, il mercato, quali sono le tematiche, se c'è tanta cassa dritta, se si preferisce la ballata, se l'urban prende il posto dell'elettropop. Insomma, Sanremo resta – e da qualche anno è sempre di più – cartina di tornasole di discografia, radio e un pezzo buono di gusto popolare.
Questa cosa, negli ultimi anni, ha riportato il Festival a numeri impressionanti, ma soprattutto a vedere su quel palco anche canzoni bestseller, cantanti che hanno un vero peso nell'industria discografica dopo che per anni quasi ci si vergognava di passare sul palco del Festival. Gran parte del merito, come ha riconosciuto lo stesso Carlo Conti, conduttore e direttore artistico del Festival, va a Claudio Baglioni prima e soprattutto ad Amadeus poi. Questa enorme esplosione del Festival, che ha coinciso anche con un cambiamento enorme della musica dovuta all'importanza sempre più rilevante dello streaming e di conseguenza di nuovi suoni (trap, urban, un pop più contaminato), ha però anche portato al rischio di uniformazione del suono sanremese. Una volta esisteva quasi un genere a sé, il genere sanremese, ovvero la ballatona che prevedeva un arrangiamento che si incastrasse perfettamente con l'orchestra.
Oggi le cose sono un po' cambiate, ma in pochi anni il rischio è quello di una nuova uniformità di suono, prediligendo certe pigrizie, la cassa in quattro (pensate a quello che una volta era definito il tunz tunz della discoteca, per capirsi) e che adesso è fondamentale se vuoi scrivere un pezzo uptempo che abbia buone possibilità di essere notata dalle radio. I suoni urban, pure, ieri scrivevamo del "genere Cenere", ovvero le canzoni che si rifanno in qualche modo alla canzone che Lazza ha portato nel 2023. La sensazione del primo ascolto – quindi fatto di corsa, con un audio non proprio perfetto – è quello del già sentito: si sprecano commenti come "Questa ricorda quella", "Questa l'ha già fatta caio", che non sono omaggi al passato ma proprio una sorta di uniformazione del suono. Non aiuta, certo, il fatto che autori e produttori, alla fine, siano sempre gli stessi.
Per questo motivo alla fine a ergersi al di sopra delle altre sono o brani con un testo molto forte, come la canzone di Simone Cristicchi, o canzoni che rispecchiano appieno l'artista (tipo Fedez, che non ha pensato a qualcosa al di fuori di sé) oppure, e qui veniamo anche al titolo di questo articolo, ad artisti che hanno un percorso ben preciso, che hanno costruito negli anni una propria poetica, che hanno sperimentato suoni, che rifuggono dalle solite melodie o anche dalle solite immagine trite e ritrite del pop contemporaneo. Niente viaggi a Ibiza, niente autostrada dal finestrino di un'auto, niente racconto svilente dell'amore.
Brunori Sas, Lucio Corsi e Joan Thiele erano, come negli anni passati ColapesceDimartino, Coma_Cose, La Rappresentante di Lista, Giovanni Truppi, ciò che aspettavamo. La curiosità era capire come avrebbero affrontato quel palco. E alla fine il risultato è che sono il meglio di ciò che abbiamo ascoltato durante i preascolti. Parliamo di artisti che hanno un proprio seguito, benché, a parte Brunori, quel pubblico sia ancora minore rispetto al merito. Ma anni e anni di indie ci hanno insegnato che non sempre la quantità ha un valore in sé, l'importante è avere qualcosa da dire, ricercare, trovare un modo di dirlo.
Brunori, per esempio, non porta una canzone rivoluzionaria, ma è una canzone (L'albero delle noci) che ha un'attenzione nel suono, nella parola e nell'intenzione, un brano in cui rivediamo quello che è uno dei migliori cantautori italiani degli anni 2000, che pur rendendo omaggio a certi grandi (ieri citavamo De Gregori) e trattando un tema che rischia la retorica, come quello della paternità, riesce a essere totalmente se stesso e a trovare una chiave di racconto. Non è un caso che di lui a Sanremo si parli da anni – ci è andato solo come ospite degli Zen Circus per le cover – ma i suoi progetti lo hanno portato solo oggi.
Lucio Corsi è un talento, un talento vero. Ascoltarlo fa l'effetto – non ci stancheremo mai di dirlo – che a un bambino fanno le Favole al telefono di Gianni Rodari o le sue filastrocche: un effetto di meraviglia. Corsi unisce il surreale, il favolistico dei testi a suoni glam rock, in una sorta di contrasto che è diventata una sua caratteristica. A Sanremo porta Volevo essere un duro, un racconto pieno di immagini nuove, diverse, che traggono spunto dal campo semantico della natura (cosa che caratterizza molte delle sue canzoni), giocando con il fantastico e lasciando sempre una sensazione di meraviglia.
Infine c'è Joan Thiele, un'altra artista che ha raccolto molto meno di ciò che avrebbe dovuto. In questi anni l'abbiamo apprezzata per alcuni feat, come quelli negli album di Mace, in alcune delle canzoni più belle di quei progetti (ascoltateli per intero, se non l'avete fatto, vale la pena), o quello nell'ultimo album di ColapesceDimartino (Forse domani, una delle canzoni più belle), ma anche per canzoni come "Cinema", probabilmente uno dei singoli italiani più interessanti e belli di questi ultimi anni. E Cinema diventa quasi una chiave d'accesso al brano sanremese Eco, che dalle colonne sonore cinematografiche pesca per dare il mood, riuscendo, però, a mescolare una voce che ricorda le grandi interpreti degli anni 70 a certi suoni molto contemporanei (ieri citavamo Billie Eilish). Forse non raccoglieranno il plebiscito di pubblico, ma almeno le nostre orecchie potranno un attimo ripulirsi e godere di atmosfere meno plasticose.