Bono alla ricerca del padre e di sé: il leader degli U2 si emoziona e incanta il San Carlo di Napoli
"You're the reason I sing, You're the reason why the opera is in me" canta Bono in "Sometimes You Can't Make It On Your Own" canzone dedicata a Bob, suo padre. E "Sei la ragione per cui canto. Sei la ragione per cui l'Opera è in me" potrebbe tranquillamente essere il tema dello spettacolo Stories of Surrender che Bono ha concluso con una serata speciale al Teatro San Carlo di Napoli. Una chiusura di cerchio perfetta per il cantante degli U2 che ha deciso di salutare il pubblico nel teatro più antico d'Europa, con questo spettacolo che ha usato l'autobiografia per soffermarsi soprattutto sulla figura paterna, quel Brendan Robert Bob Hewson, amante dell'Opera e di Torna a Surriento e da cui per una vita ha cercato di farsi vedere.
La storia che racconta Bono è quella di un figlio che cerca di convincere il padre di essere qualcuno. Di poter diventare veramente un cantante, diventare quello che il padre era solo in maniera amatoriale, diventare qualcuno per poter attirare su di sé le attenzioni di Bob: "And it's you when I look in the mirror" continua Bono in quella canzone che ha deciso di non portare sul palco del San Carlo. Uno specchio in cui rivedersi, che in scena diventa una sedia vuota nel Sorrento Lounge, il salotto in cui i due cercavano una comunicazione che stentava ad arrivare, riprodotta in scala sul palco partenopeo. Bono lo racconta nel suo libro "SURRENDER: 40 Songs, One Story" da cui è tratto lo spettacolo (sul palco ci sono anche Gemma Doherty – arpa, tastiera, voce -, Kate Ellis – violoncello, tastiera, voce – e il direttore musicale Jacknife Lee) e sono tratti anche i disegni che sul maxischermo accompagnavano questa storia.
In uno dei tempi dell'Opera mondiali, quindi, Bono ha portato se stesso, il padre, la madre, la moglie, i suoi amici. Ha scelto di regalarsi una serata evento che sarà difficile dimenticare per il pubblico ma anche per lui stesso, che un paio di volte fatica a trattenere l'emozione. Esplode il teatro quando Bono fa la sua apparizione sul palco, ed esplode quando, dopo aver parlato della sua giovinezza, attacca "City of blinding lights". Lo dice chiaramente il cantante: voleva una serata evento nella "città dei campioni". Non sarà l'unico riferimento alla squadra di calcio, successivamente paragonerà addirittura papa Giovanni Paolo II, il papa del Giubileo del 2000, a Victor Osimhen.
Che grande performer sia Bono lo si vede dal primo momento in cui mette piede sul palco, è tutto scritto ma sembra che vada a braccio, sente e fa sentire l'emozione che lo pervade e con cui riesce a raccontare questa storia. Alcune canzoni le accenna, altre le canta per intero, tutte servono per fare da fil rouge alla narrazione, ma anche un po' per permettere il singalong del pubblico in sala. Altro che San Carlo, sembra uno stadio. Ogni tanto partono gli "Olè, Olè" dei 1300 fortunati che sono riusciti a trovare un biglietto per la serata. Ma questa è una serata in cui aleggia sulle nostre teste la figura di papà Bob, con Torna a Surriento che fa da accompagnamento ai momenti in cui Bono si siede di fronte al padre assente per raccontare al pubblico questo rapporto doloroso ma fortissimo. Una Guinness e l'assenza, il silenzio, quello che caratterizzava quei momenti: "We fight all the time You and I, that's alright we're the same soul".
Ma Stories of Surrender non è uno spettacolo di dolore (più di resa, come dice il titolo), è uno spettacolo che dal dolore affrontato ricava una forza enorme. È uno spettacolo in cui si ride di Bono che per cercare di farsi vedere dal padre deve aspettare il momento in cui a casa Hewson telefona Luciano Pavarotti, mito di Bob, e "la voce più bella al mondo" come lo descrive il cantante. Il padre non ci crede: "Pavarotti vuole me. Adesso chi è l'idiota?" urla un giovane Bono. "Lui" risponde il padre. E Pavarotti – di cui il cantante degli U2 mostra un suo disegno – è stato un altro filo tirato dal cantante, quello più forte che lo legava al genitore, i momenti più comici sono quelli che riguardavano proprio loro due. Come quando, invitati dal tenore italiano a Modena per il Pavarotti & Friends, Bono porta con sé anche il padre, antimonarchico convinto, che vacilla davanti a Lady Diana: "Secoli di torture monarchiche dimenticate in otto secondi" dice il cantante dopo aver imitato l'incedere della Principessa.
Altri fili sono senza dubbio i suoi compagni: The Edge, Adam Clayton, Larry Mullen Jr e il manager Paul McGuinness, descritti come fratelli più che come compagni di band, compagni di quel lungo viaggio chiamato U2 e che loro stessi hanno riletto nella raccolta Song of Surrender. Ed è dopo questo blocco che Bono canta forse la canzone più bella tra tutte quelle della serata: una versione con arpa e violoncello di Sunday Bloody Sunday, con un Bono in grande forma, quel "baritono diventato tenore" che riesce, sussurrandola, ad ammutolire tutti. Con "Pride (in the name of love)" e "Where the streets have no name", invece, è difficile far stare quieto il pubblico. È un San Carlo che sembra più un pub dublinese che il luogo in cui si va a vedere e ascoltare la Traviata. Bono racconta dei suoi concerti di beneficenza, lo fa per parlare di come per venire a patti con il successo e un mondo ingiusto, abbia avuto bisogno di donare qualcosa, spendersi per alcune cause. Al suo fianco la moglie Ali, altra presenza costante del racconto (e presente nel teatro napoletano). Era lei al suo fianco anche quando Bono ha accompagnato il padre nei suoi ultimi giorni.
Col padre ormai morto, il Sorrento Lounge perde una sedia, perde quella di Bono che va a sedersi su quella del padre, perché oggi è soprattutto padre, dopo essere stato soprattutto figlio. È questo il momento in cui Bono canta Torna a Surriento, con quell'incedere anglo-napoletano nell'accento, si vede che sente molto il momento, che Napoli era la città giusta in cui concludere questo tour. Alla fine tutto torna, il giro è stato completato. Bono si alza e chiude la canzone guardando il pubblico che scoppia in un misto di applauso e boato. C'è tempo per un bis, una ripetizione della canzone di Ernesto e Giambattista De Curtis, un po' per motivi filmici (Bono sta girando anche un film sul tour), un po' perché non capita spesso, neanche a Bono, di poter cantare quella canzone in quel teatro. Doppio boato, doppio applauso e l'ultimo saluto del pubblico: oltre mille persone a intonare ‘O surdato ‘nnammurato solo per lui, perché a volte, appunto "you can't make it on your own".