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Biennale Teatro 2019: è possibile un “nuovo teatro”? Sì, se prendiamo esempio dai tedeschi

Si è conclusa la 47esima edizione di Biennale Teatro, diretta per il terzo anno dal regista Antonio Latella, e incentrata sulle “drammaturgie” cioè su tutte le nuove forme di scrittura per il teatro. Con un esempio emblematico, il Leone d’oro al Dramaturg tedesco Jens Hillje, figura paradigmatica per ricostruire quel rapporto ormai spezzato tra pubblico e artisti.
A cura di Andrea Esposito
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Il Leone d'oro Biennale Teatro 2019, Jens Hillje ©HochRID
Il Leone d'oro Biennale Teatro 2019, Jens Hillje ©HochRID

Si è appena conclusa a Venezia la 47esima edizione di Biennale Teatro, diretta per il terzo anno dal regista Antonio Latella (qui l'intervista). Questa edizione aveva come tema portante la drammaturgia, o meglio le drammaturgie e cioè l'intero ventaglio di possibilità dello scrivere teatro ai giorni nostri. Si è trattato quindi di una vera e propria indagine a 360 gradi nell’universo della nuova scrittura teatrale, dalle sonorità del CLUB GEWALT, collettivo olandese che rilegge il teatro musicale in chiave politica, ai silenzi della drammaturgia non verbale dell’artista belga Miet Warlop, fino ad arrivare all’australiana Patricia Cornelius che lavora insieme alla sua connazionale Susan Dee su partiture mutuate dal rap.

Al centro di questa lunga e niente affatto scontata ricognizione sulle diverse declinazioni della scrittura teatrale, c’erano però due punti fermi, i due “Leoni”. Jetsee Batelan e Jens Hillje. Quest’ultimo, in particolare, Leone d’oro, è un tedesco classe 1968 e codirettore e capo Dramaturg al Gorki Theater di Berlino: sicuramente una delle grandi “scoperte” di questa Biennale. Non tanto perché il suo lavoro fosse prima sconosciuto, quanto per la centralità che Latella ha deciso di dargli in questa edizione. È in sostanza un passo definitivo per riformulare quell’idea che vede il drammaturgo come colui che si occupa esclusivamente della cura del testo.

In realtà in Germania la figura del “Dramaturg” è in piena ascesa già da diversi anni mentre in Italia semplicemente non esiste o esiste nella dimensione di assistente, consulente, esperto di comunicazione, della direzione artistica. Ma ciò che risulta evidente da questa edizione, e che di sicuro farà scuola per i prossimi anni, è che il ruolo del nuovo Dramaturg nel teatro contemporaneo è quello – per fare un paragone forte – di una sorta di grande Chef, che cucina insieme una serie di elementi (le diverse professioni del teatro) per portare in tavola piatti unici, frutto di nuove esigenze e nuove sensibilità.

Sebastian Nübling Die Hamletmaschine
Sebastian Nübling Die Hamletmaschine

I lavori di Hillje visti a Venezia, tra cui l’imperdibile “Die Hamletmaschine” di Heiner Müller, ci mostrano esattamente questo. Non si tratta di un teatro nuovo e scintillante in senso estetico o poetico (e chi cercava questo forse sarà rimasto deluso) ma di un nuovo modo di costruire processi teatrali, centrati su nuove urgenze. Una su tutte, almeno per quanto ci riguarda, è quella di portare in scena giovani attori. “Hamletmaschine” infatti non ci mostra la compiutezza di un teatro contemporaneo giunto al suo apice, ma la tensione, il tentativo di allungare la mano verso un teatro più orizzontale, democratico, che addenta il presente, piuttosto che mostrarci l’algida compiutezza formale di alcune operazioni viste in questi anni rispetto alle quali però non è più possibile andare né avanti, né indietro. Per renderla con un'altra metafora il lavoro di Hillje è una sorta di “stretching” per l’intero sistema teatro e che sarebbe davvero salutare anche qui da noi per portare, o meglio cercare di riportare, il teatro su un terreno più vicino a chi sente e vive il presente. Toccare le punte e spingere il capo verso le ginocchia e poi ancora più giù.

Hillje ci ricorda quanto la figura del “super consulente”, del Dramaturg, oggi sia essenziale per far incontrare domanda e offerta, ma non in una banale dinamica di mercato, ma per restituire la performance dal vivo al suo pubblico, soprattutto quello più giovane. Il Dramaturg è in definitiva un essere bifronte che ha una “faccia” rivolta al mondo degli artisti, del teatro, dei registi, degli attori, delle correnti e delle sensibilità che si agitano in giro per l’Europa e per il mondo; ma dall’altro ha lo sguardo rivolta alla strada, alle piazze (fisiche e digitali), ai club, ai mercati. Conosce il proprio tempo e conosce il mondo del teatro e prova non a confezionare formule buone da vendere, come troppo spesso sta accadendo a queste latitudini (nomi noti + testo di richiamo + estetica alla moda), ma a proporre, progettare, far incontrare diverse e nuove sensibilità (se metto insieme x con y, cosa potrebbe mai accadere?). È se si vuole, e si accetta la provocazione, l’esatto contrario del "audience development" classicamente (mal)inteso, che è di per sé cosa buona e giusta, ma è veramente cosa buona e giusta intercettare nuovi spettatori, indottrinarli a una storia del teatro che non si studia nemmeno nei licei e nelle università umanistiche, per poi metterli di fronte a spettacoli che sono critica del testo? O è rimettendo in discussione i processi, ribaltando il punto di vista come in una vera rivoluzione copernicana che si può riannodare quel filo che connette il nuovo pubblico al nuovo teatro? In parole ancora più semplici, non è possibile che un nuovo pubblico ci sia già, bello e pronto, e che invece sia il mondo del teatro ad essere terribilmente in ritardo? E se ci fosse un "teatro" altrove?

Per concludere questo discorso, una chiosa sulla grande anteprima vista in laguna e cioè quella de “Il giardino dei ciliegi” di Alessandro Serra, spettacolo attesissimo di cui nella prossima stagione si parlerà molto data la lunga tournée e il grande sforzo coproduttivo di molti teatri. Ecco, questo è un'esempio che ci fa da contraltare al discorso di cui sopra. Un operazione teatrale mastodontica, un "classico" spettacolo di “critica teatrale” pienamente novecentesco, evidentemente pensato per essere l'opera di punta del cartellone di uno Stabile italiano, che però a mio personale avviso non centra nessuno degli obiettivi di un’opera contemporanea. Uno su tutti il target. A chi parla? Agli esperti? Ai meno esperti? Al nuovo pubblico? E se invece fosse qualcosa di già visto, fuori tempo massimo e con più di una sbavatura? La domanda, ultima, non è tanto se lo spettacolo sia più o meno riuscito, quanto piuttosto se stiamo davvero investendo sul teatro del presente e del futuro.

Il giardino dei ciliegi di Alessandro Serra
Il giardino dei ciliegi di Alessandro Serra
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