Nel suo discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico all’università Luiss di Roma, Paola Cortellesi si è concentrata sugli stereotipi nelle fiabe. L’intervento non è piaciuto alla destra italiana, che negli ultimi anni sembra aver sviluppato una vera e propria ossessione per favole e fiabe e in particolare per Biancaneve, che secondo l’attrice e regista era trattata come “una colf” dai nani. Solo pochi giorni fa, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini dava notizia sui suoi canali social del flop del lungometraggio animato Wish, il centesimo film Disney che a suo dire sarebbe vittima dell’"eccesso di politically correct". "Cancellare fiabe e sogni non porta lontano!", ha commentato il ministro.
Anche se espressioni come “dittatura del politicamente corretto” erano già diffuse in precedenza, è stata proprio Biancaneve a sancire un cambio di passo nel dibattito che riguarda questo argomento. Nel 2021, il parco di Disneyland inaugurò la giostra dedicata alla principessa dopo un lungo restauro. Due giornaliste di un quotidiano locale di San Francisco criticarono la scelta del parco di aver reintrodotto il bacio finale tra Biancaneve e il principe azzurro, sottolineando che si trattava di un bacio “non consensuale” perché la principessa, che era addormentata, non poteva esprimere il suo consenso. Tra l’altro, recensivano positivamente il rinnovo della giostra, scrivendo che la scena finale era “eseguita magnificamente, a patto che la si guardi come una fiaba, non come una lezione di vita”. L’articolo fu ripreso da alcuni giornali scandalistici e la notizia arrivò in Italia, ma arricchita di dettagli assolutamente inventati: si parlò della volontà di censurare il bacio, di una pioggia di critiche, di un boicottaggio di massa del parco a tema.
La faccenda del bacio di Biancaneve può essere considerata come l’inizio ufficiale della mobilitazione della destra contro il “politicamente corretto”, tanto che anche Giorgia Meloni e lo stesso Matteo Salvini commentarono la notizia. La principessa è stata poi nuovamente al centro di polemiche lo scorso anno, quando trapelarono alcuni dettagli sul nuovo live action, in cui non ci sarebbe il principe azzurro e i nani sarebbero interpretati da attori di altezza media. Anche all’epoca Salvini dovette dire la sua: “Walt Disney si rivolta nella tomba. Questi sono da manicomio! E guai a criticarli, passi per retrogrado. Meglio non aggiungere altro”. Anche il monologo di Cortellesi, di cui tra l’altro sono state diffuse solo poche battute, sta suscitando reazioni simili.
L’attrice e regista non è la prima a sollevare il problema del sessismo nelle fiabe. Negli anni ’70, si sviluppò un dibattito nel femminismo sul ruolo delle fiabe, a partire da un articolo pubblicato nel 1970 dalla New York Review of Books, scritto dalla professoressa emerita di letteratura americana della Cornell University Alison Laurie. Laurie sosteneva che le fiabe della tradizione orale descrivevano un mondo in cui le donne sono intelligenti e competenti quanto gli uomini, e quindi spingessero le bambine a essere indipendenti. Il problema del sessismo emerse quando le fiabe, da storie orali, diventarono libri stampati (da uomini) in cui i testi vennero selezionati e riadattati (sempre da uomini) per veicolare i valori dell’epoca. Altre femministe misero in evidenza che le fiabe che oggi conosciamo hanno subito un ulteriore processo di stereotipizzazione, soprattutto a causa delle trasposizioni della Disney.
Nella versione originale di Biancaneve, ad esempio, la regina è la madre biologica della principessa, che è poco più che una bambina; quando arriva a casa dei nani, si ubriaca e la vandalizza e alla fine la regina non muore cadendo in un dirupo, ma è costretta a ballare fino alla morte calzando delle ciabatte incandescenti. In generale, diversi studiosi hanno messo in evidenza come le versioni della Disney siano più stereotipate delle storie originali, che comunque erano state prodotte in epoche in cui la condizione femminile era tutt’altro che libera e avevano lo scopo di impartire lezioni di vita, riflettendo i valori dominanti.
Proprio perché nate da storie orali con tantissime ramificazioni e varianti, le fiabe sono oggetto di continua riscrittura e rivisitazione, adattandosi al contesto in cui vengono lette o rappresentate. L’ossessione della destra per le fiabe è in realtà l’ossessione per una tradizione per molti versi recente e inventata, in linea con la difesa di altre “tradizioni” che in realtà tradizioni non sono. In Ungheria, la riscrittura delle fiabe è al centro del dibattito politico: nel 2021, una esponente del partito di estrema destra “Movimento Nostra Patria” pubblicò un video sui social in cui distruggeva pagina per pagina il libro di fiabe Meseország mindenkié (Una fiaba per tutti), pubblicato dall’associazione lesbica Labrisz. La controversia legata al libro, che riscrive alcune fiabe tradizionali in ottica inclusiva, ha contribuito all’approvazione di una legge che vieta l’esposizione ai minori di presunta “propaganda LGBTQ+”, tanto da essere ritirato dal commercio. Lo scorso anno, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Lituania per aver violato la libertà d’espressione dopo che il governo bandì il libro di fiabe inclusive Amber Heart di Neringa Dangvyde Macate. Anche in questo caso, secondo alcuni esponenti della destra lituana, Amber Heart violava una legge sulla protezione dei minori che vieta di “esprimere disprezzo verso i valori della famiglia” e di “incoraggiare concezioni di matrimonio e famiglia diverse da quelle del Codice civile e della costituzione”.
Le reazioni spropositate al discorso di Cortellesi, o meglio, alle poche parole trapelate sulla stampa, si inseriscono in un contesto culturale in cui gli sforzi della destra sono tutti concentrati non tanto sulla conservazione di una tradizione, ma sulla sua invenzione. Le fiabe fanno certamente parte del nostro patrimonio culturale condiviso, ma quelle che fanno “rivoltare Walt Disney nella tomba” non sono il prodotto della tanto declamata millenaria tradizione occidentale, ma di una sua rivisitazione che non ha nemmeno un secolo.