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Bentornati a scuola, bentornati alla vita in presenza

È la settimana dei primi giorni di scuola, come dimostra l’invasione dei social di bambini e bambine, cartelle in spalla, al fianco di genitori confusi e felici. Ed è per tutte e tutti noi un ritorno alla vita in presenza. Ma in questi due anni di pandemia abbiamo dato ai ragazzi e bambini la colpa di tutto senza poi davvero preoccuparci di loro, dopotutto non votano, non consumano, non producono quindi “in buona sostanza non servono a un cazzo”… E questo perché ci dimentichiamo, troppo spesso, che sono il nostro futuro.
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In questi giorni ricorre uno degli "anniversari" più temuti e amati del paese: il primo giorno di scuola. E lo dimostra l'invasione dei social network di foto, post e video di bambini e bambine, perlopiù inconsapevoli, davanti alle scuole con la cartella in spalla, al fianco di genitori confusi e felici.

Confusi perché in tempo di pandemia il futuro è poco chiaro e la prospettiva di un ritorno alla DAD è terrificante, felici perché in tempo di pandemia il futuro è poco chiaro e l'idea di liberarsi di loro dopo mesi e mesi, anche per poche ore, rende i genitori alle otto del mattino stranamente sorridenti e rilassati. Potrà sembrare crudele ma molte e molti di noi sanno benissimo che è così: perché faresti di tutto per loro, perché sono il primo pensiero al risveglio e l'ultimo prima di addormentarsi, perché quando non ci sono ti ritrovi come un pirla a guardare le loro foto, perché la gioia che sanno regalarti in alcuni istanti è qualcosa difficile da raccontare con le parole, ma ci sono momenti in cui, dopo ore di devastante assenza di silenzio e pace, vorresti solo chiudere gli occhi e sprofondare, ma tuo malgrado ti esce dalla bocca un urlo rabbioso che non puoi fermare ma di cui sai che, di lì a poco, ti pentirai irreparabilmente e per il quale chiederai scusa. "Avete rotto il cazzo perdio, state in silenzio un solo cazzo di secondo!" con la o finale molto prolungata. Per poi aggiungere subito dopo: "Ehi non si dicono le parolacce, ho sbagliato a urlare però voi dovete fare meno rumore per favore se no vi stacco i ditini uno ad uno…" e giù risate matte.

E così accade che in quel benedetto mattino da cani del primo giorno di scuola, gli sguardi di genitori fino ad allora sconosciuti e assolutamente diversi per origini, lavoro, opinioni, religione, lingua e gusto nel vestire (che a quanto pare è una cosa assai rara alle otto del mattino), si ritrovano a scoprire un'inaspettata complicità. Salvo poi accompagnare la propria bimba o il proprio bimbo al cancello che la separa dal mondo fuori, vederla o vederlo salire le scale, guardarla salutare con la manina da lontano e ritrovarsi in silenzio, fra quegli sguardi fino ad allora complici ed ora un po' meno sorridenti anzi lucidi, a sentire le scuse più ridicole: "mi è entrato un moscerino nell'occhio", "c'è troppo sole", fino alla classica "è allergia". Tutto questo mentre le donne, notoriamente più intelligenti di ogni uomo, non cercano scuse e anzi si incazzano perché "lo sapevo che dovevo portare più fazzoletti!".

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Se a tutto questo poi aggiungiamo che il 2021 è stato decisamente particolare e che questo primo giorno di scuola arriva dopo due anni di pandemia, di incertezze, di paure, di dolore e assenze, direi che non c'è proprio nulla da nascondere se avevo una gran voglia di piangere guardando la mia piccolina allontanarsi da noi, verso un nuova avventura che sarà solo e soltanto sua, e nella quale non potremo starle vicini, non potremo aiutarla, né consolarla quando, cadendo, si sbuccerà un ginocchio: purtroppo, questi ultimi due anni, volenti o nolenti, ci hanno portato a nutrire le nostre paure. Ed è per questo, forse, che piangiamo più forte ma in silenzio, perché c'è già troppo per cui piangere in giro, perché per colpa degli assembramenti non possiamo accompagnarli in classe alla loro prima volta, perché in questi due anni davvero poco è stato fatto per le bambine e i bambini di questo paese, perché questo paese troppo spesso non si occupa e preoccupa dei suoi bambini e delle sue bambine: un paese per vecchi che non pensa al suo futuro.

In questi due anni di pandemia abbiamo dato ai bambini, bambine, ragazzi e ragazze la colpa di tutto: dei contagi, della movida, dei parchetti e di mille altre amenità, ma non ci siamo mai davvero preoccupati di loro, mai è stata fatta una seria discussione su quanto tutto questo inciderà sulle loro vite, sul loro futuro, mai ho sentito alcuna persona comprendere – nel senso più profondo della parola ovvero di "prendere con" – che il tempo che viene negato all'infanzia e all'adolescenza in questi anni oscuri non verrà mai più restituito, perché sono anni che non tornano, mai più. E loro dovrebbero essere la nostra principale preoccupazione in questa pandemia (e finalmente in questi giorni il governo sta pensando a diverse soluzioni per le scuole), ma invece no perché in fin dei conti, le bambine e i bambini, non votano, non sono elettori, non sono consumatori, consumatrici (sono induttori di consumo), né produttori, quindi in buona sostanza "non servono a un cazzo": poco importa se sono le persone cui abbiamo preso in prestito la terra, poco importa se sono il nostro futuro, poco importa se questi sono gli anni della loro formazione e dipende da noi che persone saranno.

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Questo è un paese di vecchi per vecchi e non solo in senso anagrafico, un paese di pesciolini rossi che dimenticano tutto nell'arco di 24 ore e l'infanzia è una stagione della vita così breve che quando passa i genitori si dimenticano di averla convissuta, gli e le adolescenti si dimenticano di averla vissuta, e nessuno ha interesse ad occuparsene: basta farsi un giro nei bagni dei locali o ristoranti in cerca di un fasciatoio e vedrete che ho ragione. Basta provare a cercare una proposta culturale intelligente per adolescenti e vedrete che ho ragione.

L'Italia è un paese per vecchi ma in questi giorni le ragazze e i ragazzi di ogni età stanno tornando a scuola in presenza, insieme, ed è una notizia bellissima perché come ha detto qualcuno prima di me "non c'è niente di più bello di stare insieme"; le bambine e i bambini tornano a giocare a "facciamo che io ero" insieme, e tutti insieme i giovani si riprendono la scena di questo paese: speriamo restino giovani per sempre. Per molte piccole persone settembre è l'inizio di una nuova vita, tutta propria, ma diciamolo, non solo per loro: settembre è il nostro vero capodanno, quel periodo in cui ci si fa promesse (spesso false ma vabbè), si fanno nuovi progetti, ci rimette a dieta, si torna in palestra, si fa il piano per il "nuovo anno", insomma si ricomincia un po' da capo. Speriamo sia davvero un buon momento per ricominciare, insieme, di persona, in presenza, a partire dai più giovani.

Buon primo giorno a tutte e tutti

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