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Beatrice Venezi: “Ho avuto problemi per le mie posizioni politiche, se Meloni mi chiama sono pronta”

Fanpage.it ha incontrato Beatrice Venezi in occasione dell’uscita del libro L’ora di musica, parlando di intrattenimento culturale e politica.
A cura di Francesco Raiola
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Beatrice Venezi è uno dei direttori d'orchestra – declinato al maschile perché lei preferisce così – italiani più conosciuti nel nostro Paese e non solo. Negli anni si è ritagliata un ruolo importante in un mondo che è prevalentemente maschile, ma Venezi è riuscita anche a ritagliarsene anche uno più pop, riuscendo ad aggiungere un volto nuovo all'immagine che il grande pubblico ha della musica classica. Lo ha fatto principalmente grazie alla sua partecipazione al Festival di Sanremo, prima al fianco di Amadeus e poi come giudice di Sanremo Giovani. Negli ultimi tempi, però, il suo ruolo simbolico si è allargato anche alla Politica, per le sue posizioni vicine a Fratelli d'Italia da cui è stata premiata e per il cui Concerto del primo maggio della conferenza a Milano si è esibita e per un'intervista in cui ripercorreva la sua biografia e che fece parlare di sé per la sua rivendicazione dello slogan mazzinian-fascista di "Dio, Patria e Famiglia". Abbiamo incontrato Venezi in occasione dell'uscita del suo libro L'ora di Musica (UTET edizioni), in cui il direttore racconta la musica attraverso i suoi protagonisti e alcune curiosità, partendo e terminando con due artisti come Piazzolla e John Cage, ma raccontando anche il pentagramma, il lavoro sui violini di Stradivari, le note e la direzione d'orchestra.

Direttore, come nasce la sua passione per la musica classica?

È partita in maniera quasi casuale avvicinandomi al pianoforte. Io non vengo da una famiglia di musicisti, ma c'era questa signora che dava lezioni di pianoforte nella mia scuola elementare ed è così che mi sono avvicinata allo strumento, dopodiché è stato quasi un processo naturale, è stata un po' una necessità, è cresciuta in me una necessità di esprimermi con uno strumento diverso che è l'orchestra e poi piano piano, avendo l'opportunità, la possibilità di fare questo mestiere ho capito qual era la cosa che più mi affascinava di tutte, ovvero il dato umano, il fare musica insieme e il dover convogliare una serie di volontà, spiriti, verso un obiettivo comune.

Come nasce L'ora di musica?

È una raccolta di 20 lezioni che possono essere lette in ordine sparso, sono lezioni rivolte a studenti di scuola media, superiori, ma anche agli adulti che hanno voglia di scoprire qualcosa in più rispetto a un mondo che spesso e volentieri viene considerato come qualcosa di difficile, distante, che non ha una vera e propria relazione con la nostra attualità e contemporaneità, dunque di difficile comprensione. C'è sempre questo timore reverenziale nei confronti della classica e L'ora di musica vuole dare quelle coordinate necessarie a comprendere meglio questa materia e incuriosire. In realtà i capitoli sono delle brevi lezioni che lanciano spunti, lasciando spazio, eventualmente, per l'approfondimento.

Lei parte da Piazzolla e termina con John Cage, quindi con due mondi non immediatamente associati alla classica, come mai?

C'è una volontà di aprire e di spaziare. Ci tengo a sottolineare che Piazzolla viene considerato da noi europei come il tango fatto persona, mentre dagli argentini è considerato come colui che aveva distrutto il tango originario. Allo stesso modo anche Cage ha un ruolo di decostruzione, molto dadaista se vogliamo, rispetto a quelli che erano i dettami della stessa avanguardia dell'epoca, quindi mi piaceva aprire e chiudere con due personaggi che oggi diremmo "disruptive".

La lirica, scrive, era "una delle forme d'intrattenimento più comuni dell'800", oggi non è più così: secondo lei come si potrebbero riavvicinare i giovani alla classica?

So che molti storceranno il naso, perché quando si parla di intrattenimento lo si contrappone alla Cultura, si pongano su due piani diversi, ma in realtà si può tranquillamente parlare di intrattenimento culturale di altissimo livello, di altissima qualità e che veicola anche dei messaggi, dei valori, ma che può essere fruito come forma di semplice intrattenimento. Questo è quello che succede per lo più all'estero.

Ci fa un esempio?

Ricordo la mia primissima esperienza a Londra, ero a Opera Holland Park a dirigere un'opera che tra l'altro non era neanche di repertorio, sto parlando de L'amico Fritz di Pietro Mascagni e a teatro arrivavano tanto persone con la partitura, che seguivano in maniera pedissequa, tanto persone col cestino del picnic e calzoncini corti. Ecco, a me piacerebbe anche vedere questo tipo di frequentazione quotidiana del teatro.

Come ci si riesce?

Tanto per cominciare con una comunicazione diversa da quella che è stata fatta fino a questo momento, il problema dell'offerta invece lo vedo relativo, nel senso che noi abbiamo a che fare con una materia che per quanto possa essere – nel caso dell'opera – proposta in modo diversa, con letture più contemporanee, è una materia che non può essere modificata: puoi modificare l'interpretazione ma la materia rimane quella, quindi il problema è nel comunicare questa offerta e la contemporaneità di certe scelte e certe trame d'opera, per esempio, o di un certo linguaggio musicale. Tornando a Cage, il fatto che lui, come Pierre Schaeffer nella musica concreta, siano i precursori, gli antesignani dei dj di oggi probabilmente potrebbe fare incuriosire qualche ragazzo che oggi è appassionato di musica elettronica.

Il lavoro del direttore d'orchestra ha conservato il suo fascino ma anche il suo mistero per chi non è addentro alle cose musicali. Ci racconta questo fascino?

Mi piace l'idea del guidare, creare un gruppo in pochissimo tempo, il che è spesso una sfida anche perché avviene con persone che talvolta vengono da culture molto diverse e distanti, con difficoltà linguistiche, eppure si riesce a parlare attraverso il linguaggio della musica, un linguaggio che è non verbale, è fatto di sguardi, gesti, mimica facciale, di comprensione immediata, di un qualche flusso che si espande nella sala prove. Avere dalla propria parte l'orchestra non è mai scontato, è sempre qualcosa che il direttore deve guadagnarsi, quindi c'è qualcosa anche di molto istintivo e primordiale, entrare in un'arena e domare i leoni, c'è molto di questo, specialmente con alcune orchestre, ma questa è un'altra storia. La cosa affascinante è questo momento di comunione assoluta che comincia con il primo levare, il primo respiro, quello che ci mette tutti sullo stesso piano e poi da lì riuscire a convogliare la volontà e la visione musicale, l'anima delle persone che sono coinvolte, in una performance, verso un obiettivo comune, almeno questo è quello che io intendo per direzione d'orchestra.

Anche quando ci sono differenze culturali, come diceva prima…

Devo dire che forse ancora più affascinante è quando si ha difficoltà nel parlare, esprimersi, perché magari utilizziamo lingue diverse, abbiamo culture distanti: ripenso alle mie prime esperienze in Giappone, dove c'era questa difficoltà linguistica, eppure è un linguaggio che riesce a valicare i confini. Poi ci sono quelle performance straordinarie, dove si percepisce all'interno del pubblico una totale comunione di intenti e questa è una benedizione, quando succede, es è qualcosa di estremo valore.

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Potrebbe succedere oggi, quello che nell'800 successe con Verdi, ovvero di un artista classico amato come una rockstar?

Sono tempi diversi e soprattutto c'è stata una frattura che non so quanto possa essere sanabile e ricucibile tra il pubblico e la musica classica che spesso viene vista come un oggetto da museo, da tenere sotto una teca, da osservare. Non viene quasi mai percepita come un ente vivo, che respira, che è personalmente quello che credo la musica classica sia, dunque anche il portato che può avere ancora oggi, la forza dirompente che certa musica e certe trame d'opera possono avere ancora oggi. Se guardo ad altri generi musicali c'è un'estrema banalizzazione non solo dei contenuti ma anche delle forme. Qualche tempo fa facevo questa riflessione: un brano musicale che passa in radio oggi dura mediamente due minuti e mezzo, già negli anni 90 erano 4-5 minuti e nei 70 il rock progressive arrivava a sette, otto, dieci minuti e anche di più se parliamo di gruppi come i Jethro Tull, quindi anche sotto quel profilo è chiaro che in tempi così serrati, stretti, di comunicazione è difficile far passare dei messaggi che possano essere dirompenti o trascinanti per le folle.

Qualche giorno fa Giorgia Meloni ha detto che c'è una difficoltà di alcuni artisti a palesarsi come di destra, secondo lei è vero? E perché?

C'è un'oggettiva difficoltà di chi si espone a rientrare all'interno di determinate logiche. C'è una certa parte politica che, spesso e volentieri, ha visto la Cultura come un baluardo di Potere. Piuttosto che valorizzare il merito, indipendentemente dall'orientamento politico o dall'orientamento religioso, ha deciso letteralmente di farne dei baluardo di potere, per conservarlo, del resto la Cultura è potere, è potere sulle menti delle persone, sono i messaggi che si veicolano. Chiunque abbia provato, nel corso del tempo, a cantare un po' fuori dal coro, non è stato facilitato e spesso e volentieri è stato ostacolato, questo è un dato di fatto. Comprendo, quindi, che ci sia difficolta, a volte, nell'esporsi ma non è neanche questione di idea politica e di appartenenza a un partito o a un'ideologia, sto parlando anche soltanto di porre una domanda, porsi una domanda e spesso e volentieri chi l'ha fatto è stato vessato e un po' in tutti gli ambiti, non solo in quello della Cultura, quindi capisco che chi non è nella posizione di forza, di poter alzare la propria voce, abbia paura a farlo.

Esporsi politicamente le ha mai creato problemi? È stata mai discriminata per le sue idee?

A seguito della posizione direttore-direttrice, Laura Boldrini, che è comunque un'esponente importante e di rilievo di un determinato orientamento, uscì con tutta la sua potenza di fuoco con un comunicato stampa che mi attaccava direttamente, alla faccia della solidarietà femminile. La mia volontà in quel momento era stata quella di lanciare un dibattito costruttivo, in realtà sono stata attaccata con questo comunicato da parte di una donna che ha una posizione, un rilievo, un potere anche mediatico e non solo, superiore al mio, puntandomi il dito contro. Da lì ci sono state delle cancellazioni di produzione, motivate con il Covid, ma con uno strano timing, con un tempismo strano, quindi mi viene da rispondere: chiunque provi a esprimersi contro quello che è un diktat rischia di avere delle complicazioni sul lavoro.

FdI le ha proposto di candidarsi, ma lei ha rifiutato perché ha detto che voleva continuare a fare musica. Se vincesse Meloni e le chiedessero un impegno maggiore lei sarebbe disposta a mettere la musica almeno al pari di questo impegno?

Io riconosco che nel nostro Paese c'è un grande lavoro da fare sotto il profilo culturale, dell'istruzione dell'educazione musicale, per esempio, di tutta una serie di temi, soprattutto per riportare la Cultura al centro e far sì che questa venga vista dalla Politica come un asset importantissimo del nostro Paese, cosa che allo stato attuale evidente non è, dunque probabilmente sì: poi dipende da cosa, che tipo di responsabilità, non so nemmeno io se ne sarei in grado, ho delle competenze artistiche, quindi compatibilmente con quelle che possono essere le mie attitudini e competenze magari sì.

Una sua intervista di qualche settimana fa ha fatto molto discutere, col senno di poi quel passaggio su "Dio, patria e famiglia" lo ripeterebbe?

Io, piuttosto, mi chiedo se la Cirinnà rivedrebbe la sua posizione, sinceramente, perché il significato delle mie parole era molto chiaro. Mi vergognerei ad avere dei genitori che insultano l'idea di qualcun altro, i valori di qualcun altro, li scherniscono, li deridono. Mi vergognerei se avessi dei genitori del genere, quindi ripeterei esattamente le stesse parole perché questo era il significato, in Italia, in qualsiasi Paese del mondo, si può avere qualsiasi idea, qualsiasi valore, basterebbe riuscire ad avere una comunicazione, un dialogo e un confronto civile, senza bisogno di attaccare, di deridere, di schernire e umiliare chi ha idee diverse, è quello che semplicemente mi aspetterei da dei politici che rappresentano il nostro Paese.

La questione dirimente lì più che sui valori singoli era su quello che, Mazzini a parte, in Italia rappresenta uno slogan fascista, però.

Ma non è uno slogan, sono valori alla base di tutte le società che hanno un indirizzo conservatore, non vedo niente di fascista nel dire che amo la mia patria, che amo visceralmente l'Italia e che mi piacerebbe che fosse riconosciuta nel mondo per il grande valore che ha e non soltanto per fenomeni negativi e che gli stessi politici italiani dovrebbero fare di tutto per riportare agli antichi splendori il nostro Paese. Non mi vergogno di dire che la famiglia – indipendentemente dal tipo di famiglia da quello che uno intende per famiglia – è la base di qualsiasi società. E poi Dio: io sono credente, per me è un valore, se poi questo non è condiviso… Tra l'altro il cattolicesimo è una delle religioni più accoglienti da questo punto di vista, prende in considerazione tante posizioni diverse ed è dialogante nei confronti di posizioni, culture e posizioni diverse, quindi questi per me sono valori, non sono slogan.

Possiamo dire che a questi valori aggiungiamo anche quello dell'antifascismo?

Sì, ma io non credo neanche che ci sia bisogno di dirlo, il fatto di tirare sempre in ballo il fascismo, l'antifascismo, è passato tempo sufficiente per la nostra memoria storica, non capisco la necessità di tirare sempre in ballo questo spauracchio del fascismo. Faccio fatica a comprenderlo, tra l'altro se si vedono i numeri e le percentuali dei partiti di estrema destra non c'è alcun aumento, non c'è una percentuale in crescita o un dato preoccupante rispetto a qualche tempo fa.

Certo, bisognerebbe intendersi sul concetto di estrema destra, ma forse non è questo il contesto adatto.

Beh, c'è una destra parlamentare, quindi se una destra è riconosciuta dal parlamento chiaramente non è fascista, altrimenti non ci potrebbe stare. In più quello slogan è stato ripreso anche dalla DC, da De Gasperi, lei lo sapeva?

No, non ricordo uno slogan del genere.

"Dio, patria e famiglia, vota Democrazia Cristiana".

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