Ovviamente quando la questioncina è saltata fuori s'è aperto il cielo, e molti linguisti, fra cui lo stesso Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca, hanno dichiarato con urgenza la loro preoccupazione. In sostanza si dice che l'italiano non può abdicare all'inglese, specie al livello più alto del proprio sapere (neppure in una mera procedura burocratica). E anche se, come ha voluto affermare la ministra Fedeli difendendo la scelta del suo Ministero, "l’inglese è, semplicemente, la lingua veicolare della comunicazione internazionale fra ricercatrici e ricercatori", anche se smaliziata questa scelta rimane molto criticabile. In particolare c'è una questione storica che forse non abbiamo sempre presente e che però, in questi ambiti, è stata determinante: l'affermazione della lingua volgare.
Nelle scienze (e non solo, ma ora di scienze parliamo) per lunghi secoli ha dominato incontrastato il latino. Tutti i dotti lo parlavano, lo leggevano e lo scrivevano, ed era un mezzo linguistico formidabile per avere un confronto nella comunità internazionale. Lo scozzese e il napoletano che conoscessero il latino potevano dibattere come vicini di casa. Proprio come oggi io, parlando inglese, posso raccontare la mia osservazione a brasiliani e malesi.
Questo dominio del latino, però, contribuiva alla chiusura della comunità scientifica: non solo il popolo ignorante, ma senza conoscere il latino anche quel ceto medio che davvero poteva interessarsi di scienza restava tagliato fuori. Serviva uno strumento, una frizione capace di portare il movimento dell'albero motore della scienza a una popolazione più vasta. Serviva al popolo perché il bene e l'apertura mentale del discorso scientifico vi penetrasse; serviva alla scienza, perché il popolo, conoscendola, la potesse appoggiare – senza che la sua fortuna riposasse solo nelle mani di sovrani ed ecclesiastici. Questa frizione fu il volgare, fu l'italiano. Quando Galileo scrive il suo "Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" la sua posizione accademica era già parecchio scricchiolante, e aveva un gran bisogno di sostegno, di alleati. Scrivere in un meraviglioso volgare quel meraviglioso trattato non lo salvò dalla malizia altrui, ma permise alle sue idee di avere una presa definitiva sul ceto borghese.
Ovviamente l’inglese è […] la lingua veicolare della comunicazione internazionale fra ricercatrici e ricercatori. Ma estromettere la lingua italiana dal circuito della ricerca o renderla del tutto secondaria porta come effetto proprio quella distanza fra scienziati e popolo che il volgare aveva dapprima inteso colmare. Non è solo vero che al popolo serve la scienza: è anche vero che alla scienza serve il popolo. Perché solo quando è conosciuta, sostenuta e finanziata dal popolo è davvero libera. Per questo è importante che l'accademia sappia l'inglese e desideri parlare italiano.