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‘Avatar’ vuol dire un po’ più di quello che pensi

Dalla religione hindu al gergo informatico: una metafora calzante e di poesia tanto rara quanto simpatica.
A cura di Giorgio Moretti
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Pensiamo alle decine di profili che abbiamo online, e alle immagini che in questi contesti scegliamo per rappresentarci (e spesso nulla hanno a che vedere col nostro aspetto). Pensiamo ai personaggi che costruiamo o scegliamo nei vidoegiochi di ruolo. Pensiamo ai film e alle serie animate di successo straordinario che portano questo nome. Alla fine "avatar" è una parola che ci suona decisamente comune, anche se lo sappiamo che è esotica. Ma esotica come? Pochi hanno idea di quale sia la sua origine – che è davvero qualcosa di gigantesco.

Dobbiamo portarci in India, alla ricerca dell'avatara, uno dei fili che costituisce il variegato tessuto dell'hinduismo: va ricordato, la religione hindu non è una religione singola, bensì una famiglia di centinaia di elementi che hanno in comune solo alcuni tratti, alcuni fini. Nel grembo vasto dell'hinduismo la castità del bramacharya e l'erotismo del kamasutra sono vie segnate di pari dignità, volte alla moksha, la liberazione dal samsāra, il ciclo delle reincarnazioni. E ci si può serenamente votare a una divinità piuttosto che a un'altra. Tutte sono espressioni dell'ātman: le melodie che vibrano dal flauto stanno al soffio come le divinità stanno all'ātman.

Ora, il nostro ‘avatar' ci arriva attraverso inglese e francese dal sanscrito avatāra, che nella galassia dell'hinduismo propriamente descrive la discesa di una divinità nel mondo al fine di arginare il disordine e tutelare la Legge eterna del Dharma. La divinità a cui solitamente ci si riferisce è Vishnu, principio conservatore, che insieme a Brahma e Shiva costituisce la Trimurti: nove volte Vishnu è disceso a ristabilire l'ordine superiore e una ancora deve discendere. Fra gli avatar di Vishnu troviamo personaggi celeberrimi: il principe Rama, Krishna, e lo stesso Gautama Buddha. L'avatar di Vishnu di cui è attesa l'incarnazione è Kalki, che sul suo cavallo bianco porterà in una maniera piuttosto definitiva il bene ai degni e il male agli indegni, a nuova garanzia della giustizia divina.

Nel passaggio figurato della parola agli avatar informatici e ludici vediamo allora che c'è una certa intelligenza poetica: si discende nella rete, o comunque in un diverso livello di realtà, incarnandoci in un avatar. Anche se mancano quei fini alti che l'avatar di Vishnu dovrebbe avere: non che con il nostro avatar online si ristabilisca l'ordine, anzi, diventa una maschera ulteriore, che piuttosto invita al disordine.

E questa intelligenza poetica, specie in un periodo in cui ci piace gridare al barbaro, va apprezzata: di rado le metafore che usiamo nel lessico comune sono forti del pregio culturale e dell'estro fervido e ironico che troviamo nell'avatar.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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