È ufficiale. Se ne parla senza posa in queste ore. “Uber” ha cominciato a sperimentare automobili che si guidano da sole. Avete capito bene: si guidano da sole. Procedono in automatico, come nei film di fantascienza a cui ci ha abituati il cinema. Per coloro i quali prenotano un viaggio tramite la sua applicazione a Pittsburgh, in Pennsylvania, Uber ha proposto questo servizio di prova, che definire pionieristico è ancora poco.
Si tratta, in effetti, del primo test aperto al pubblico nel settore dei veicoli autonomi: è la prima volta che accade e ciò, verosimilmente, segna una svolta decisiva, anche a livello di immaginario collettivo. Perché implica, come si diceva, la possibilità di essere a bordo di un’automobile automatizzata, che si guida da sé e sulla quale non esistono più i piloti: si è tutti passeggeri. Al di là dell’aspetto meramente tecnico, su cui ampiamente si è discusso e su cui ancora si discuterà a lungo, mi preme svolgere alcune considerazioni di ordine più generale, segnatamente di carattere filosofico. Soprattutto su due punti vorrei soffermarmi, sia pure rapidamente.
In primo luogo, l’auto che procede, in forma automatizzata, da sé può a giusto titolo intendersi come emblema della nostra epoca: nella quale tutto procede in forza di un automatismo tecnico efficace e – questo il punto – sempre più sciolto dalla responsabilità umana. Tutto si fa tecnico, perfino i governi. Basta avviare il dispositivo ed esso procederà da sé, con il rischio che sempre più gli uomini stessi diventino superflui rispetto all’“impianto” della tecnica, come lo chiamava Heidegger. Lo scenario inquietante che ci si squaderna dinanzi è, allora, quello del film “Matrix” (1999), ove le macchina hanno preso il sopravvento, impiegando gli uomini alla stregua di servi da utilizzare per l’illimitato potenziamento dell’impianto tecnico.
Vengo ora alla seconda considerazione. Che resta dell’etica della responsabilità in un orizzonte in cui tutto è affidato all’automatismo irriflesso della tecnica? Che può fare l’individuo, sempre più ridotto ad appendice docile della macchina? Sappiamo che vi sono casi, quando guidiamo, in cui è indispensabile la scelta libera e responsabile dell’individuo: se, ad esempio, vi è un ferito ai bordi della strada. Lì dobbiamo (nel senso anzitutto del dovere morale, che una macchina non potrà mai avere) scendere e prestare soccorso. Con l’imporsi dell’apparato tecnico, quale spazio resta, dunque, alla libertà dell’individuo? Il caso delle macchine che si guidano da sé sembra corroborare la testi di Heidegger, per cui l’uomo è sempre più un mero giocattolo nelle mani della tecnica.