Allo scritto del concorso per insegnanti di scuola dell'infanzia in Friuli Venezia Giulia un rilevante numero di bocciature pare sia dipeso da brutti errori di ortografia. C'è ovviamente (e sono in tanti) chi se ne è molto scandalizzato: com'è possibile che i candidati, molto spesso laureati, nel loro percorso di studio non siano passati attraverso un vaglio delle loro conoscenze ortografiche di base? Com'è possibile che chi non padroneggia doppie e acca arrivi a un concorso?
Ma d'altro canto non sono mancate campane illustri che con argomenti puntuali hanno invece inteso minimizzare l'accaduto, come Stefano Bartezzaghi in questo suo articolo su La Repubblica. I suoi argomenti sono così chiari da essere il punto di partenza perfetto per affermare il contrario.
"Si tratta di errori banali, cioè poco significativi".
Senza dubbio sono errori che non riguardano aspetti raffinati della lingua, non investono una sfera semantica: non stiamo parlando (solo) dei fastigi dei congiuntivi, delle conversioni acrobatiche della consecutio temporum. Quelli su acca e doppie sono errori grezzi, bruti: e questa non è un'attenuante.
"Sono usi del tutto comuni in quel tipo di italiano svelto e disinvolto che si usa al computer e allo smartphone, che è come dire (piaccia o non piaccia) l'italiano più comune".
Verissimo. Ma col mio amico del liceo non parlo come davanti a una commissione esaminatrice. Il concorso, in prove scritte e orali, è forse l'ultimo bastione intatto in cui è totalmente pacifico che il registro linguistico da adottare deve necessariamente e non può che essere alto e sorvegliato. Chi nella prova di un concorso scrive come su Whatsapp non ha capito il concorso e non lo deve passare.
"Da maestri d'asilo non avrebbero alcuna responsabilità sulla competenza ortografica di quattrenni e cinquenni. […] Davvero la competenza necessaria per accudire cuccioli umani sotto i cinque anni di età ha a che fare necessariamente con l'ortografia?"
Ovviamente sì. Non stiamo parlando di babysitter, ma di insegnanti della Repubblica. Professionisti che devono avere competenze variegate e che permettano loro di partecipare alla scrittura dei curricoli d'istituto, di strutturare in progetti la loro azione didattica, di rapportarsi con genitori, colleghi e dirigenti, partecipare a bandi, il tutto mentre sviluppano la loro formazione permanente. Senza conoscenze ortografiche niente di tutto ciò è fattibile. Riconosciuta l'impronta che dà a tutto il lavoro scolastico successivo, nel 2018 la professione dell'insegnante di scuola dell'infanzia è una professione alta e seria, non va svilita come fosse animazione da villaggio vacanze.
Sicuramente sugli errori grammaticali ci sono da abbassare i toni perché spesso sono giudicati per più di quel che sono, e il giudizio sulla grammatica diventa facilmente giudizio sulla persona. Ma il giudizio sull'errore dipende anche e soprattutto dal contesto. In una pubblicità, in un'intervista, in un proclama politico l'efficacia del messaggio può prevalere sulla correttezza formale; ma non in un concorso, con buona pace di chi questi errori li fa.