Come può un maschio occidentale che si occupa di libri per passione e lavoro, formatosi sui romanzi di Philip Roth, approcciare la lettura di un libro dove è annunciata la presenza del mitico cantore di Newark in qualità di amante/amico dell'autrice? È il singolare caso di "Asimmetria" della statunitense Lisa Halliday, pubblicato in Italia da Feltrinelli, che in una recensione del New York Times di qualche mese fa era stato presentato come il caso editoriale dell'anno, più per la storia vera (risalente a una ventina d'anni fa) che ha coinvolto uno dei più grandi scrittori del XX secolo che per il suo contenuto. Un modo come un altro, ancor più dopo la lettura per intero del romanzo, per ribadire quanto sia difficile scardinare un sistema culturale, come quello del giornalismo culturale, costituito perlopiù da maschi che offrono sguardi maschili e a volte maschilistici sul mondo in generale e sulla letteratura in particolare.
Per tornare ad "Asimmetria" di Lisa Halliday, bisogna cominciare col dire che si tratta di un romanzo di spessore per diverse ragioni. Lo è, innanzitutto, per la sua struttura, che possiamo definire sperimentale. Di per sé, in un'epoca dove è sempre più difficile provare a immaginare qualcosa di nuovo, ciò rappresenta un merito, ma il punto è che "Asimmetria" osa davvero, centrando il suo obiettivo e perseguendo la sua idea-guida (riassunta perfettamente nel titolo). Si tratta di un romanzo diviso in tre parti, ma per l'appunto asimmetrico, dove nella prima sezione, scritta in terza persona, si racconta la storia di una giovane editor e aspirante scrittrice che ha una relazione con un anziano e famoso scrittore. Nella seconda, scritta in prima persona, si racconta, la disavventura aeroportuale dell'iracheno Amar bloccato a Londra come individuo sospetto. Infine, la terza parte è la trascrizione di un’intervista allo scrittore della prima parte, Ezra Blazer (Philip Roth) che tiene insieme le due parti. Come dire, è la vita ad essere asimmetrica, che senso avrebbe per un romanziere del ventunesimo secolo addomesticarla in uno schema artificiosamente preordinato?
Fin qui la struttura. Un'altra buona ragione per scegliere "Asimmetria" è dovuto al discorso interno al romanzo, alla scelta di raccontare l'insieme di relazioni asimmetriche che attraversano la nostra vita (uomo-donna, occidente-oriente, ricchi-poveri) indagandole in maniera elegante, lieve e in chiave romanzesca, sul limitare di autobiografia e invenzione. Nulla di nuovo nello schema applicato, molto di nuovo c'è, invece, nel risultato finale. Perché il romanzo passa dalla prima parte "Follia" alla seconda "Pazzia" per sconfinare nella terza con la trascrizione dell'intervista utilizzando il meccanismo del ribaltamento, ma soprattutto attraverso quello – a mio avviso, ancor più interessante qui – dell'accumulazione. Così sul finale ci arriviamo col dubbio di aver letto, nella prima parte, un racconto privato che ha molto di politico, mentre nella seconda, apparentemente più politica, sentiamo di aver attraversato una vicenda che nel suo privato rilascia un portato maggiore.
Infine, ecco il terzo motivo che fa di "Asimmetria" un libro imperdibile. E con questo torniamo allo scrittore fantasma che aleggia prima, durante e dopo la lettura del libro. Quel Philip Roth che qui ha l'alter ego di Ezra Blazer (che come Roth ha vinto il Pulitzer e mai il Nobel). C'è qualcosa che la Halliday sembra afferrare delle asimmetrie esistenziali nelle quali siamo tutti immersi ogni giorno, qualcosa che gli uomini al comando in qualche modo fanno filtrare dai loro comportamenti e dal modo in cui i loro sudditi (o complici, come diventa la narratrice della prima parte) li percepiscono. È una sorta di spiraglio che si dipana sin dalle prime pagine del romanzo e arriva fino in fondo senza mai assumere un nome preciso col quale farsi riconoscere. Qualcosa che le donne sanno e che hanno pudore a raccontare (ma che anche gli artisti sanno e che la vita cerca di occultare), che ribalta nell'invisibile e nel silenzio l'asimmetria del potere esibito. Qualcosa di profondamente letterario, insomma, e come tale destinato a sfuggirci come ciò che resta inconscio.