Artemisia Gentileschi simbolo dell’arte contro la violenza sulle donne
La recente riscoperta della pittura di Artemisia Gentileschi non può prescindere, oltre che dal contenuto intrinseco dei suoi quadri, anche dal valore che assumono per le donne di tutti i tempi. Oggi, infatti, sempre più Artemisia è considerata una paladina dell'arte contro la violenza sulle donne. Nei suoi dipinti, infatti, sono più d'uno i segni della violenza sessuale che subì nel 1611 da parte del pittore Agostino Tassi, amico del padre Orazio Gentileschi e suo maestro di disegno, a cui seguì con coraggio il lungo processo che si concluse con la condanna del suo violentatore.
Lo stupro di Artemisia e l'inizio del processo
Il processo ad Agostino Tassi per lo stupro di Artemisia Gentileschi fu intentato da Orazio Gentileschi alla fine del febbraio 1612 a Roma. Gentileschi era un pittore di origini pisane al tempo attivo a Roma, Tassi era un pittore paesaggista arrivato da poco in città, che collaborava con Orazio e frequentava abitualmente la sua casa. L'accusa è lo stupro, avvenuto almeno un anno prima, della figlia Artemisia Gentileschi, anche lei pittrice. La vicenda era stata taciuta per molto tempo, quando finalmente Gentileschi decide di sporgere denuncia, l'evento suscita numerose dicerie, tanto che in più occasioni il processo si trasforma in uno strumento di diffamazione di Artemisia, che viene vista con sospetto per aver taciuto per tanto tempo e che, quindi, viene ritenuta consenziente da gran parte dell'opinione pubblica.
La sentenza contro il violentatore
Il processo si protrasse per qualche mese perché vennero interrogati vari conoscenti di entrambe le parti in causa per verificare le deposizioni dei testimoni. Soprattutto l'accertamento della testimonianza di Nicolò Bedino impiegò molto tempo, dal momento che vi erano forti sospetti che fosse stato corrotto da Agostino. Grazie alle ricerche di Mary D. Garrard si è scoperto che sono andate perdute almeno sette deposizioni (tutte a favore di Agostino, perché furono presentate dal suo avvocato). Il 27 novembre 1612 Agostino Tassi venne condannato per la deflorazione di Artemisia Gentileschi, la corruzione dei testimoni e la diffamazione di Orazio Gentileschi. Il giudice Gerolamo Felice gli impose di scegliere tra cinque anni di lavori forzati e l'esilio da Roma. Il giorno seguente Tassi prese la propria decisione e scelse l'esilio, aiutato dal capitano Pietro Paolo Arcamanni che garantì per lui. La sentenza venne depositata, separata dagli atti, negli Archivi Vaticani.
Firenze espone la "Giuditta" della Gentileschi
Firenze celebrerà appunto la Giornata – venerdì 25 novembre – esponendo a Palazzo Vecchio l’opera Giuditta che decapita Oloferne, di Artemisia Gentileschi, in prestito per tre giorni dai vicini Uffizi. Ed è per questo che oggi, a Firenze si sceglie un’opera che riunisce due donne divenute simbolo dell’oppressione vinta con la passione. Giuditta, che secondo il racconto biblico tagliando la testa al generale Oloferne liberò la città di Betulia assediata dagli Assiri ed Artemisia Gentileschi, l’artista vittima nel 1611 di una violenza sessuale.
Roma, la grande mostra a Palazzo Braschi
Dal 30 novembre 2016 all’8 maggio 2017 sarà possibile ammirare alcune delle opere più importanti di quest’artista, in una mostra allestita nelle sale di Palazzo Braschi, a Roma. Frutto di un lunghissimo lavoro preparatorio, l’esposizione vanta prestiti da tutti i principali musei del mondo: dal Metropolitan Museum di New York, dal Museo di Capodimonte, dal Wadsworth Atheneum di Hartford Connecticut, dalla Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze e dal Národní galerie v Praze di Praga. Opere straordinarie come la Giuditta, “Ester e Assuero”, “Autoritratto come suonatrice di liuto” e moltissime altre saranno finalmente alla portata del pubblico italiano. Accanto alle opere di Artemisia, anche quelle dei suoi contemporanei, come Cristofano Allori, Simon Vouet, Giovanni Baglione, Antiveduto Grammatica e Giuseppe Ribera.