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Antonio Biasiucci: fotografia di un universo concreto e visionario

L’artista di Dragoni, che negli ultimi trent’anni ha dato un contributo fondamentale alla fotografia contemporanea, ci ha aperto le porte del suo studio nel cuore di Napoli. Gli dedichiamo un focus ed un’intervista esclusiva.
A cura di Gabriella Valente
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Per Antonio Biasiucci la fotografia è una necessità, uno strumento per conoscere la realtà, per andare al fondo delle cose. Al di là di ogni canone disciplinare, fotografare per trovare il senso degli elementi, per comprendere l’incomprensibile – sembra questo il principio del lavoro di Biasiucci, un lavoro in cui, nonostante i risultati di manifesta bellezza, non c’è compiacimento estetico o tecnico, ma una sincera esigenza di esperire e capire.

Non a caso, l’intera produzione dell’artista è segnata da un’impronta fortemente autobiografica, una traccia personale molto potente e significativa, che però riesce a tramutarsi in qualcosa di universale: la carica delle immagini di Biasiucci consiste proprio nell’essere pensieri privati che nondimeno possono essere letti come archetipi assoluti, elementi di una memoria collettiva. I diversi soggetti ritratti dal fotografo, pur così diversi tra loro, parlano il medesimo linguaggio, si fondono e confondono in un comune magma dal tono esistenziale, raccontando le medesime storie: storie universali di vita, di morte, di creazione e distruzione; storie di elementi primari del mondo, in dialogo e in contrasto tra loro nel caos e nella catastrofe. Le immagini di Biasiucci, terrestri e terrene, piantano le radici nella terra di Dragoni, sua città natale in provincia di Caserta, e si elevano a visioni cosmogoniche, assolute ed esistenziali, diventando metafore e simboli della condizione dell’uomo nel mondo.

Vorrei parlarvi / Di un’arte visionaria / Necessariamente legata / Alla realtà / E / Di come questo vincolo / Stretto / Inesorabile / È a volte capace / Di far lievitare / Prodigi.   (Antonio Neiwiller)

È prodigioso come nelle fotografie dell'artista un mondo assolutamente concreto, terreno e materico riesca a trasfigurarsi in immagini visionarie e quasi astratte, che spesso richiedono un’osservazione attenta affinché vi si riconoscano degli oggetti corporei. Il soggetto, pur ritratto in maniera del tutto nitida, va perdendo i suoi connotati usuali e si trasforma, al punto che il dettaglio del dorso di una vacca si confonde con un paesaggio o le rughe di un corpo appaiono come increspature di una superficie vulcanica.

Ruolo fondamentale in questa trasfigurazione è giocato dal linguaggio in bianco e nero delle fotografie, dove i soggetti si plasmano nel rapporto tra luce ed ombra. In particolare colpisce la profondità del nero, un nero primigenio da cui le cose affiorano suggestivamente come in procinto di nascere. Con le sue opere l'artista sembra condurci all’interno di una camera oscura e farci assistere a quel momento quasi miracoloso in cui l’immagine pian piano si rivela, in una metafora fotografica del mistero della creazione.

Vorrei parlarvi / Del vedere / E del far vedere, / Di come angoli nascosti / Attività quotidiane / Orizzonti / Volti / Mani / Nebbie / Utensili / Assumono / Un particolare tono / Calore / Voluttà / Senso.   (Antonio Neiwiller)

Così scriveva, in un denso componimento dedicato al lavoro di Biasiucci, il regista e attore sperimentale Antonio Neiwiller (1948-1993). Con poche parole, Neiwiller riuscì a restituire la sostanza più profonda della ricerca artistica di Antonio Biasiucci, nei temi e negli effetti. Era solo il 1989, ma l’indagine del fotografo, sebbene originale e inconsueta, si andava già delineando nella sua concretezza e nel suo simbolismo.

Venuto dalla provincia rurale e immerso nell’ambiente metropolitano napoletano, Antonio è riuscito ad assumere un sguardo particolare sul mondo, composito e ricco, mai dimentico dell’originaria cultura contadina. La scelta stessa di dedicarsi alla fotografia è fortemente legata a suo padre, fotografo del paese e suo primo maestro; eppure, paradossalmente, l’arte di Biasiucci nasce come ribellione alle prescrizioni paterne, come trasgressione alle regole trasmessegli dal padre con le sue fotografie dei matrimoni e i ritratti in fototessera.

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Nel corso della sua carriera l'artista ha fotografato, esposto e pubblicato in bellissimi cataloghi – racconti in immagini che sanciscono la conclusione di un’indagine seriale su uno stesso soggetto – diversi aspetti della realtà: la vita nei campi, le attese, il silenzio della campagna (Dove non è mai sera); il rito dell’uccisione del maiale (Vapori) e i corpi delle vacche in una stalla (Vacche); dettagli anatomici di corpi umani (Corpus); terre vulcaniche, crateri, lava, mari, cieli, abissi (Magma); industrie dismesse, luoghi abbandonati, calchi, teschi, animali impagliati, reperti (Res); lastre votive in argento della cappella Moscati nella chiesa del Gesù (Ex Voto); pezzi di pane (Pani); calchi in cera di volti di migranti nordafricani, esposti al Museo di Antropologia (Volti).

L’elenco, sebbene esemplificativo e stringato, fornisce un’idea della varietà di soggetti affrontati: dall’organico all’inorganico, dall’animale al vegetale al minerale, dalla natura alla cultura, il fotografo indaga il reale con estrema libertà e passa dal ritratto al paesaggio alla macrofotografia, perseguendo il fine di una “fotografia totale”, intesa proprio come “cancellazione del genere fotografico”. Le diverse serie di lavori interagiscono in dialoghi sempre nuovi che l’artista crea, ogni volta da capo, per le sue mostre: gli accostamenti inediti tra gruppi di opere differenti e le originali dimensioni installative ideate sempre più arditamente da Biasiucci dimostrano la profondità di una ricerca artistica che non si arresta, che si rinnova continuamente e genera così significati altri.

Molte le occasioni per ammirare i lavori dell’artista in questo periodo: fino al 31 maggio Villa Pignatelli a Napoli accoglie la grande personale Tre Terzi – Sacrificio Tumulto Costellazioni, ideata per le tre sale di Palazzo Poli a Roma e giunta poche settimane fa nella città partenopea in una nuova veste. Già pronto per una collettiva romana prevista per la fine di maggio, il fotografo è atteso inoltre alla Maison européenne de la photographie di Parigi, dove dal 26 giugno sarà ospitata la doppia personale Biasiucci/Paladino, realizzata a partire dalla mostra La Casa Madre, che nel 2012 a Sorrento vide interagire le opere fotografiche dell’uno con quelle scultoree dell’altro.

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