Andy Warhol ai Musei Vaticani? I fedeli dicono no, Pop Art e religione sono incompatibili
Andy Warhol, genio profano o artista profondamente spirituale? La questione è tornata a galla in seguito all’annuncio dei Musei Vaticani di una grande mostra a lui dedicata nel 2019. L’esposizione, i cui dettagli restano al momento ancora top secret, sarà ospitata negli spazi del Braccio di Carlo Magno e verrà organizzata in collaborazione con l’Andy Warhol Museum di Pittsburgh che, proprio l’anno prossimo, festeggerà i 25 anni di attività. Ma la scelta “pop” del Vaticano non ha entusiasmato tutti: si riaccende così il dibattito su una delle figure più complesse dell’arte dello scorso secolo non adatta, secondo alcuni, al confronto con le tematiche spirituali.
La mostra prenderà in esame la produzione religiosa di Warhol, dalla celebre “Sixty Last Suppers” ispirata all’Ultima Cena di Leonardo alla serie “Memento”, proponendo una vasta selezione di documenti, filmati e materiali d’archivio inediti. L’obiettivo, spiegato dalla direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta, è quello di esplorare il lato spirituale di Andy Warhol e di inserirsi nel vasto mondo dell’arte contemporanea: “viviamo in un mondo di immagini e la Chiesa deve farne parte”, ha dichiarato.
Le critiche: una buffonata autodistruttiva
L’arte è stata, per secoli, il mezzo privilegiato di trasmissione della fede. Artisti come Warhol hanno invertito, almeno in apparenza, questa tendenza, concentrando i loro sforzi espressivi verso il racconto di una contemporaneità materialistica e devota soltanto agli idoli del consumismo e del divismo. Questa è la lettura che alcuni fanno ancora oggi di un’arte decisamente più complessa e significativa ed è a partire da queste considerazioni che alcuni hanno criticato la scelta “pop” dei Musei Vaticani.
L’irriverente commistione fra sacro e profano propria dell’arte di Warhol sarebbe, secondo alcuni, responsabile di avere in qualche modo desacralizzato l’immagine di Gesù Cristo e della sua Chiesa. In particolare, un articolo pubblicato recentemente sul quotidiano Corrispondenza Romana parla di “buffonata”, e di una “autodistruzione della Chiesa” che con Papa Francesco avrebbe raggiunto il suo culmine.
La ripetizione in serie: il sacro nel profano
Non è la prima volta, in realtà, che il mondo cattolico tenta un confronto con la Pop Art di Warhol: nel 2011 fece scalpore una conferenza organizzata dall'Istituto San Luigi dei Francesi di Roma sul tema “Andy Warhol, un artista religioso?” e curata dallo scrittore Alain Cueff. Già in quell’occasione era stato sottolineato il forte legame presente fra le produzioni in serie di Warhol e l’iconografia sacra che, stando alle biografie più accreditate, avrebbe avuto fin dall'infanzia una forte influenza sull'artista.
Entrambi i genitori di Warhol erano cattolici praticanti, assidui frequentatori della chiesa bizantina di Pittsburgh: l’iconostasi, la parete divisoria decorata con le immagini sacre e che separa le navate della chiesa, sarebbe stata profondamente ammirata da Warhol, che trasformerà la ripetizione in serie in uno dei suoi tratti distintivi. La ripetizione come atto sacro è propria di molti aspetti della liturgia cattolica, ha spiegato la scrittrice britannica Jeanette Winterson schierandosi a favore della scelta dei Musei Vaticani, come ad esempio il rosario: un legame intenso dunque, e diretto, fra l’arte di Warhol e la religione ci sarebbe.