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Come sbagliamo a usare le parolacce: il caso del termine ‘sticazzi’

Dall’aia del dialetto alla ribalta nazionale, alcune parole mutano radicalmente il loro significato (in questo caso, con gran dispetto dei romani).
A cura di Giorgio Moretti
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‘Sticazzi'. Siamo davanti a una delle interiezioni di maggior successo degli ultimi tempi. La sua popolare trivialità (letteralmente, è contrazione di ‘questi cazzi’) ha spesso una portata olofrastica, cioè sintetizza da sola il senso dell’intera frase che si pronuncia.
Il problema è che l’uso dialettale originario e i nuovi usi nati nel vasto panorama nazionale hanno significati quasi diametralmente opposti, ne fanno in pratica un’enantiosemia (ricordate?).

I romani ce l’hanno portata in dote col significato di un ‘non me ne importa’ decisamente sprezzante, tranchant. «Sai, vado una settimana a New York» «Sticazzi», «Ho comprato un’auto nuova» «Sticazzi», «Sei in ritardo con la consegna» «Sticazzi, aspetteranno». Il riferimento è il solito, quasi ermetico, ai genitali – elementi anatomici che per complesse, archetipiche ragioni, sopra ogni altro sono veicoli di significato.

Nel passaggio al nord invece lo ‘sticazzi’ sembra aver perso la sua brusca malizia, diventando una genuina espressione di ammirazione, di meraviglia, di stupore. «Sono stato campione nazionale di tip-tap» «Sticazzi! Che bravo!» «Ho vinto un centone al lotto» «Sticazzi, bella fortuna!» «Hai visto il nuovo progetto?» «Sticazzi, è favoloso!».

Il romano trasecola: per questo significato stupito c’è l’espressione ‘me cojoni’, letteralmente ‘mi coglioni?’. Il verbo ‘coglionare’, ingentilito nella sua trivialità dalla desuetudine, ha il significato di ‘prendere in giro’, e quindi quest’espressione prende il profilo di un ‘non ci credo’, ‘straordinario!’ o via dicendo.

È vero, si tratta di un mutamento fisiologico: nella famiglia nazionale il termine che il dialetto porta in dote può essere usato in modo nuovo, e non c’è niente di strano. Ma è anche vero che nell’economia di un dialetto le parole, anche quelle più aspre e spigolose, acquistano un certo equilibrio: una volta sradicate di rado lo mantengono. In altre parole, lo ‘sticazzi' non romano rischia di scivolare nel pendio della volgarità gratuita. Mentre quello originale resta di una trivialità armonica con le logiche scanzonate e spesso ruvide del romanesco.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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