video suggerito
video suggerito

Amos Gitai, ritratto di un maestro (INTERVISTA VIDEO)

Amos Gitai è uno dei registi più importanti del Medio Oriente, alfiere di un cinema d’impegno che racconta gli orrori della guerra, ma anche cineasta colto e raffinato, apprezzato in tutto il mondo per il suo stile inconfondibile. Dopo aver presentato il suo nuovo film, “Rabin – The last day” in concorso alla Mostra del cinema di Venezia lo abbiamo intervistato per l’anteprima di “Venezia a Napoli” con un’introduzione del critico Enrico Ghezzi.
A cura di Andrea Esposito
51 CONDIVISIONI
Video thumbnail
Immagine

Siamo andati all’anteprima di “Venezia a Napoli. Il cinema esteso”, ospitata all’interno del Napoli Film Festival, per vedere il nuovo film del maestro israeliano Amos Gitai, in concorso quest’anno alla 72esima Mostra del cinema di Venezia. “Rabin – The last day”, questo il titolo della pellicola, racconta gli ultimi giorni di vita di Yitzhak Rabin che fu Primo Ministro dello Stato di Israele dal 1992 al 1995, anno in cui fu assassinato da un militante ebreo di estrema destra. Dopo la presentazione in sala abbiamo incontrato Amos Gitai per parlare con lui del nuovo film, non ancora distribuito in Italia, ma anche di cinema e arte a tutto tondo. La nostra intervista è, inoltre, preceduta da un’introduzione del critico cinematografico e autore televisivo Enrico Ghezzi venuto a Napoli per incontrare Gitai con cui sono amici da molti anni.

Chi era Rabin?

La figura di Rabin è centrale per comprendere la storia recente di Israele e del conflitto mediorientale. In sintesi: nell’agosto 1993, quando Rabin era al governo da poco meno di un anno, venne resa pubblica la notizia che israeliani e palestinesi stavano da mesi conducendo dei negoziati di pace. La notizia naturalmente ebbe un’eco enorme in tutto il mondo, mentre in Israele non fece altro che accendere gli animi della destra ultranazionalista che organizzò in tutto il paese grandi manifestazioni capeggiate da quello che poi diventerà il capo del partito Likud e attuale Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu. Ciononostante il 13 settembre del 1993 Rabin firmò, insieme al leader dell'OLP gli accordi di Oslo che prevedevano il riconoscimento da parte di Israele dell'OLP come rappresentante del popolo palestinese e da parte dell’OLP il riconoscimento a Israele del diritto ad esistere. Per questo l’anno successivo fu insignito al Premio Nobel per la pace insieme a Shimon Peres, e a Yaser Arafat.

"Ero interessato ad analizzare i fattori che hanno portato all’assassinio di Rabin. Sono passati vent’anni. Le prospettive della pace sono svanite con i sogni di normalità degli anni novanta. Ma gli uomini che resero possibile l’omicidio del nostro primo ministro sono ancora a piede libero. Alcuni di loro flirtano oggi con il potere. Sono allarmato dalla crescente diffusione di una violenza di matrice religiosa nel cuore della società laica israeliana. È una malattia che potrebbe tranquillamente distruggere l’idea democratica su cui è stato fondato Israele”.

Rabin – The last day

Il film, presentato in concorso alla 72esima Mostra del cinema di Venezia, ripercorre gli ultimi giorni di vita del premier Yitzhak Rabin. La pellicola si apre con una lunga intervista a Shimon Peres, all’epoca Ministro degli Affari Esteri e braccio destro di Rabin, il quale racconta le ore immediatamente precedenti la manifestazione dove il premier verrà assassinato. Come è forse già chiaro il film di Gitai alterna materiale di repertorio (video amatoriali delle manifestazioni, interviste tv, testimonianze…) a girato originale. In oltre due ore di film Gitai ricostruisce tutte le fasi dell’inchiesta che seguì l’omicidio e parallelamente ci mostra l’ascesa e la crescita di consenso della destra nazionalista. Girato con lunghi e complessi piani sequenza che ricreano un’unità di spazio tra i diversi “luoghi” della storia, il film è uno straordinario documento su ciò che ha cambiato per sempre la storia di Israele e del Medio Oriente. Ma Gitai non si limita a ripercorrere gli eventi e a mostrare quanto la propaganda di destra abbia soffiato sul fuoco della guerra, ma ci racconta anche la vicenda del suo assassino, con momenti cinematograficamente molto intensi, attraverso le sue deposizioni e le implicazioni religiose che hanno ispirato il suo gesto.

L’intervista ad Amos Gitai

Al di là del film abbiamo chiesto a Amos Gitai di raccontarci i motivi che lo hanno spinto, a metà degli anni ‘70, a intraprendere l’avventura del cinema per uno che, figlio di un noto architetto del Bauhaus, aveva a sua volta studiato architettura: “Ho capito che volevo fare il regista quando un giorno, durante la guerra del Kippur, mi trovavo in elicottero a sorvolare una zona di guerra. Il mio copilota fu letteralmente decapitato da un missile siriano che penetrò il nostro elicottero… In seguito mi venne detto nel linguaggio molto asciutto dell'esercito che, statisticamente, il fatto che fossi vivo, era considerato un'eccezione… Allora decisi di sfruttare questo errore statistico e di dire un paio di cose che avevo dentro e che mi turbavano”. Ma abbiamo chiesto a Gitai anche cosa ne pensa del cinema digitale, per uno che ha iniziato a girare in Super 8 e che è sempre rimasto fedele alla pellicola: “Non sono un feticista della tecnologia e non sono così entusiasta come alcuni, per esempio il mio amico Abbas Kiarostami, a proposito della libertà che il digitale dà al cinema. Penso che un regista sia libero o meno con qualsiasi mezzo, sia esso un 8mm, un 35mm o una macchina da presa digitale, l’importante, ciò che veramente conta, è cosa vuoi raccontare e quanta importanza dai agli aspetti formali. Mi sembra – prosegue Gitai – che il pubblico oggi sia come addomesticato a un ritmo di montaggio troppo veloce. A me interessa il cinema che richiede un’interpretazione, per me il film comincia quando finisce la proiezione, non qualcosa che viene consumato rapidamente”.

51 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views