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“AmericaNa”: i grandi scrittori americani che raccontarono Napoli

La casa editrice Intra Moenia ha raccolto le impressioni di viaggio dei grandi autori americani che attraversarono Napoli, le coste e le isole Campane. Le loro vicende esistenziali si intrecciano alle riflessioni scaturite dalla contemplazione del paesaggio, raccolte e commentate da Pier Luigi Razzano.
A cura di Luca Marangolo
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È circondato dai languidi sorrisi dei suoi ascoltatori il volto di David Foster Wallace, sul cristallino sfondo del golfo di Anacapri, mentre dichiara, in un documento da antologia, “Qui mi sento come un bambino”. Era poco prima che Wallace si ammazzasse tragicamente e l’analogia che lui evocava era profonda. Per Wallace come per molti altri scrittori americani prima di lui, venire sulle nostre coste fu come amplificare molte volte le sue capacità percettive. Come accade ai bambini in fasce che – nella loro condizione pre-linguistica –  possono imparare a parlare mentre osservano, percepiscono e si imbevono della realtà, i grandi scrittori viaggiando possono re-imparare a scrivere.

Accadde a Herman Melville, il rude inventore di Moby Dick che a trentott’anni ripensò la sua carriera e da autore di talento e affermato, dopo il suo Grand Tour e un soggiorno partenopeo, divenne immortale grazie ad Achab. Accadde a James, che – con il suo meraviglioso incrocio di filoeuropeismo e cultura statunitense, con il suo essere il più profondamente inglese degli scrittori americani – impresse nella propria immaginazione letteraria rovine diroccate a strapiombo sul mare, coste frastagliate pervase dalla luce blu che vi si distende riflessa da superfici d’acqua tirreniche; luoghi che dovevano sapere, per questi intellettuali yankee, di profonda alterità.

Del resto tutta la cultura letteraria americana, e lo scrisse anche il filosofo francese Gilles Deleuze quarant’anni fa, è stata tutta profondamente e radicalmente attraversata da un'ingenua fantasia di innocenza, da un sentimento di redenzione che ha trovato nelle marine nostrane un’incarnazione profonda.

E così una piccola casa editrice, Intra Moenia, ha deciso di dedicare un piccolo libretto ai documenti che Mark Twain – primo cantore di questa innocenza – Melville,

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James, Dos Passos, Scott Fitzgerald e Gore Vidal ci  hanno lasciato sui loro viaggi a Napoli e dintorni. Lo straniero in città, l’americano che si aggira con il suo completo bianco e Panama, sventolandosi con la larga tesa per trovare sollievo dall’arsura dell’assolata spiaggia, è il paradigma che meravigliosi racconti come Camera con Vista di Forster hanno trasmesso all’immaginario collettivo. In Forster erano inglesi – tranne l’aitante Mr. Emerson e suo padre – nel libro di Intra Moenia, dal titolo AmericaNa, vengono da oltreoceano.

Stralci dei diari di questi narratori vengono commentati con garbo e intelligenza dall’autore, Pier Luigi Razzano, che ci restituisce vividamente il loro percorso intellettuale e percettivo in quel che vedono come un Eden meravigliosamente altro. E così Mark Twain trova nel giardino fatato delle coste italiane lo sfogo più meraviglioso per la sua insofferenza verso il falso progresso, lo sfogo per il bisogno di trasgredire le regole oppressive del capitalismo industriale, desiderio che tanto aveva legato alla sua personale rappresentazione dell’America rurale. E proprio nel suo viaggio del '66-67 ritrova a Napoli il sentimento scomparso di quelle splendide avventure della memoria e dell’infanzia, sul corso morbido del Mississipi.

E così via via, a cavallo dei due secolo gli sguardi infantili e puri dell’americano e uomo di lettere si succedono con costanti, colori e suggestioni diverse; dal mondanissimo Scott e la consorte, che a Capri scrisse la sua storia Il ragazzo ricco mentre rimaneggiava nevroticamente il suo capolavoro Gatsby, fino a Gore Vidal che invece scelse un isolamento politico sulle coste placide di Ravello.

Nel nostro ingenuo baloccarci con le suggestioni di viaggio degli scrittori americani, nell’immaginare così i colori della loro vita e della loro ispirazioni, vedendoli immersi fra gl'altrettanto vividi colori dei nostri luoghi, capiamo quanto valore ha in realtà quell’oggetto così ovvio, scontato, così usurato e poco realmente percepito- in quanto sfondo per eccellenza- che noi chiamiamo paesaggio. Per questi romanzieri è stato un vero è proprio nutrimento: specchio della loro arte, fonte di bellezza intensa e una ricchezza incredibile per la loro immaginazione.

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