Alla scoperta di “Terre selvagge” con Sebastiano Vassalli
“Io sono uno che per mestiere racconta storie, ma non le piccole storie quotidiane, quelle che avvengono tutti i giorni nei condomini d’Italia, a me interessano piuttosto le grandi storie, le vicende che hanno segnato profondamente…”. Così risponde Sebastiano Vassalli a noi che gli chiediamo i motivi che lo hanno spinto a raccontare, nel suo ultimo romanzo dal titolo “Terre selvagge” (Rizzoli), una battaglia avvenuta ben undici secoli fa: “Il salto può sembrare eccessivo – prosegue Vassalli – ma ci tengo a precisare che l’evoluzione umana a quell’epoca si era già compiuta. Vale a dire che gli uomini erano pressappoco come siamo io e lei oggi, sentivano come sentiamo noi”.
Siamo nel 101 a.C. nella vastità della pianura padana si scontrano due popoli e due civiltà in quella che è passata alla storia come la battaglia dei Campi Raudii, chiamata anche battaglia di Vercelli: a fronteggiarsi, da un lato, le tribù germaniche dei Cimbri; dall’altro, l’esercito romano. La battaglia si svolge in un’area molto vasta che coincide con i territori piemontesi che si estendono verso Vercelli; qui, sotto lo sguardo immobile del Monte Ros, il Monte Rosa, si svolge un confronto epocale in cui morirono migliaia di uomini.
“Dopo alcune ricerche mi sono reso conto – precisa l’autore – che una delle più grandi battaglie dell’antichità è avvenuta proprio a pochi passi da dove abito. E così è scattata la scintilla, anche perché gli esiti e i risvolti di questo immenso scontro sono stati appositamente occultati, per volere politico, dal governo di Roma”. I Cimbri, infatti, erano un popolo che godeva di una terribile fama di saccheggiatori e dopo aver imposto la loro presenza in molte parti della penisola italiana miravano ad arrivare fino alla città del potere: Roma. Questa battaglia, in altre parole, ebbe un valore non solo militare e geopolitico, ma culturale.
“Non le sto a dire – prosegue Vassalli – se e dove ci sono analogie con il nostro presente, questo sarà il lettore eventualmente a verificarlo. Ciò che però posso dire è che questa battaglia si inquadra all’interno di uno scontro più ampio durato praticamente fino a pochi decenni fa per il dominio dell’Europa. Noi ci siamo combattuti per secoli, in quello che un tempo è stato praticamente il centro del mondo. Oggi ci troviamo a discutere di come possiamo diventare un unico grande Stato o meglio una confederazione di stati che però risponde ad un unico potere centrale. Ciò che penso è che in Europa oltre ad aver prodotto milioni di morti nelle infinite guerre che si sono succedute, abbiamo anche prodotto una cultura unica e straordinaria che è il frutto di infinite contaminazioni e incontri. E da qui che dobbiamo partire per trovare un punto in comune”.
In conclusione chiediamo a Vassalli di spiegarci, dal suo punto di vista, quale dovrebbe essere il ruolo dello scrittore nella società odierna: “Lo scrittore – risponde l’autore, deve provare a restituire alla lingua tutte le possibilità, le potenzialità e gli echi che aveva alle origini. L’italiano, pur non essendo una lingua standardizzata come ad esempio l’inglese, è comunque surclassata dalla forza espressiva dei dialetti. Stiamo andando, come profetizzava Roland Barthes verso il grado zero della scrittura e, chissà, forse questo è inevitabile”.