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Alla scoperta di chi si prepara all’Apocalisse, O’Connell: “Mi affascina il sogno di chi ci crede”

Mark O’Connell, giornalista e scrittore irlandese, è autore di “Appunti da un’Apocalisse”: un saggio in cui ha compiuto un percorso altrettanto allucinogeno e straniante, addentrandosi nel mondo dei “preppers” ossia coloro – in massima parte maschi e bianchi – che si preparano a una fine del mondo ai loro occhi sempre più imminente, tra bunker anti-Apocalisse e miliardari della Silicon Valley che progettano di colonizzare pianeti lontani. Lo abbiamo intervistato su Fanpage.it.
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Mark O'Connell, giornalista e scrittore irlandese, è uno degli autori più interessanti dell'ultimo decennio: il suo saggio "Essere una macchina" ha rivoluzionato i canoni della narrativa di viaggio, tessendo un contorto itinerario che l'ha condotto alla scoperta dei "transumanisti", un gruppo non sempre identificabile di individui che, in diverse forme e modalità, credono che l'ausilio della tecnologia avanzata rappresenti la via più rapida per raggiugnere l'immortalità e tagliare i ponti con la finitezza umana. Da qualche mese è uscito per Il Saggiatore "Appunti da un'Apocalisse": un saggio in cui ha compiuto un percorso altrettanto allucinogeno e straniante, addentrandosi nel microcosmo dei "preppers", ossia coloro – in massima parte maschi e bianchi – che si preparano a una fine del mondo ai loro occhi sempre più imminente, tra bunker anti-Apocalisse e miliardari della Silicon Valley che progettano di colonizzare pianeti lontani. Lo abbiamo intervistato su Fanpage.it.

Com’è nato il tuo interesse per il prepping?

Ho avuto molte ansie sul cambiamento climatico negli ultimi anni. Passavo il tempo guardando canali YouTube di gente che si stava preparando alla sua personale visione della fine del mondo. Da un lato ho percepito un qualcosa di strano e affascinante, dall'altro mi identificavo moltissimo con queste ansie. Riflettevo moltissimo su quanto queste persone, i Doomsday Preppers, fantasticassero sulla fine del mondo.

Hai viaggiato fino in South Dakota per visitare xPoint, la più grande comunità di “Doomsday Prepping” al mondo, composta da ben 575 bunker sotterranei pronti a salvare l’umanità (o, almeno, la sua parte più ricca) dalla fine del mondo. Cosa hai provato in quei giorni?

È stato molto strano: mi sono trovato di fronte un panorama fantastico, completamente deserto. Ho passato un paio di giorni lì e ho incontrato Robert Vicino, l'uomo che gestisce l'intera struttura di Point. Ho anche riflettuto moltissimo per cercare di capire quale fosse il reale significato di quel posto, che non era stato costruito con quel fine, ma per custodire bombe e armamenti durante la Seconda guerra mondiale. Lo stesso panorama è legato all'idea di manifestare il destino, l'Ovest selvaggio, l'idea di colonialismo, tutte cose che ritornano nel mito dell'Apocalisse.

Raccontaci della tua esperienza con Robert Vicino, l'uomo che vende i bunker ai prepper per la modica cifra di 35mila dollari al pezzo. Sembra un personaggio grottesco e surreale, una specie di venditore dell'Apocalisse…

Robert Vicino è un venditore americano: ha avuto un passato nella pubblicità, proviene dal mondo dell'advertising. Il suo interesse nei confronti dell'Apocalisse si è declinato in due modi: sia personalmente, per via delle sue ansie individuali, sia professionalmente, perché ha individuato nella fine del mondo un'opportunità di guadagno. Anche durante il nostro incontro ha provato a vendermi qualcosa: non soltanto il bunker, ma anche la stessa idea fondante di quel posto. Ha pensato che, in quanto scrittore, avrei potuto pubblicizzarlo per lui. La psicologia dei venditori mi ha sempre affascinato, specialmente per come riesce a intrecciarsi con le dinamiche personali.

Il tuo viaggio ti ha condotto anche in Nuova Zelanda, un territorio colonizzato dagli startupper miliardari della Silicon Valley che, negli ultimi anni, stanno acquistando sempre più terreni per edificare i costosissimi rifugi in cui sopravvivere nel caso in cui dovesse scatenarsi l’Apocalisse. Ci racconti questa esperienza?

Mi sono confrontato con diversi neozelandesi sul fenomeno dei ricchi colossi della Silicon Valley che stanno re-colonizzando la Nuova Zelanda, una terra che ha già vissuto un'intensa esperienza di colonizzazione. È molto interessante analizzare questa tendenza alla luce della storia del paese, di come le cose si ripetono. Questo interesse è culminato nel mio viaggio, assieme al critico d'arte Anthony Byrth, in quelle terre, dove ho approfondito i dettagli delle cosiddette “Apocalypse Companies”, ossia degli enormi ranch vuoti in posti meravigliosi sperduti nel nulla. È stata un’esperienza strana ma molto stimolante.

Il tuo libro è stato quasi “profetico”, dato che negli ultimi due anni abbiamo sperimentato una sorta di anticamera della fine del mondo. Come hai fatto a rimanere ottimista?

Il libro, in un certo senso, è una specie di ragionamento con me stesso, un compromesso tra le mie due parti, quella ottimista e quella pessimista. In un certo senso segna una traiettoria, il mio tentativo di abbandonare il pessimismo per diventare più ottimista e provare a vivere con più intensità ogni momento. E penso anche che, alla fine, l'ottimismo prevalga sull'ansia, però in modo provvisorio. È quasi ironico, perché il libro prende le mosse dall'ansia e dal pessimismo che provo per il futuro di mio figlio e per il mondo che incontrerà. Quello che mi ha cambiato davvero, come si legge nel libro, è stata la nascita del mio secondo figlio: mi ha fatto diventare più fiducioso. La fine del mondo non è mai la fine del mondo: come civiltà umana, siamo abituati a vivere catastrofi cicliche.

Sembra quasi che le persone che hai conosciuto durante il tuo percorso siano riuscite a trovare qualcosa di “confortante” nell’Apocalisse imminente. Che ne pensi?

Penso sia vero. Personalmente, non trovo alcun conforto nell'idea di Apocalisse, ma c'è una parte di me che è attirata dal concetto di Apocalisse a cui credono certe persone. In un certo senso, assomiglia a una tela bianca su cui le persone possono disegnare i propri sogni. Questo è ciò che penso quando mi interfaccio con i preppers o con le persone che vogliono colonizzare Marte. Anche tra le persone comune, spesso, si suole dire: "Wow, stiamo vivendo la fine del mondo!": non conosciamo il passato, non conosciamo il futuro ma possiamo dire che siamo alla fine e, in tal modo, la Storia acquisisce un senso.

Di cosa parlerà il tuo prossimo libro?

Sì, sto scrivendo un nuovo libro, ma è molto diverso da "Appunti da un'Apocalisse": è un true crime su un famoso caso di omicidio avvenuto in Irlanda quando ero piccolo. È un testo che ha richiesto diverse capacità di racconto, ed è stato confortevole scriverlo durante il lockdown perché, per andare avanti nella stesura, non mi serviva viaggiare.

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