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Alexia punta su Angelina Mango e ricorda: “Il mondo della musica mi abbandonò, lasciando delle ferite”

Alexia, nome d’arte di Alessia Aquilani, è tornata sul palco, esordendo al Tomorrowland in Belgio, solo una settimana fa. Un viaggio nella sua carriera, dal successo di Uh La La alla vittoria di Sanremo nel 2003. Qui l’intervista ad Alexia.
A cura di Vincenzo Nasto
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Alexia, FestivalBar 2003
Alexia, FestivalBar 2003

Alexia è, di nuovo, di fronte a una “prima volta”: la cantante si è esibita, negli scorsi giorni, al Tomorrowland, il festival di musica elettronica in Belgio, insieme al duo Nervo, con un remix della sua Uh La La. Una carriera che vanta 5 milioni di dischi venduti, la collaborazione con Ice Mc, ma anche un Festival di Sanremo vinto nel 2003 con Per dire di no. Oltre a essere la recordman del Festivalbar: 9 presenze, nessuna come lei. E proprio dopo la vittoria del Festival che arriva la pausa, la prima, la ricerca di una famiglia che fino a quel momento era stata messa da parte dal suo lavoro. Poi la solitudine del ritorno, le ferite di un mondo in cui non si riconosceva e un nuovo passo, subito dopo l'idea del ritiro nel 2020: un album di Natale "fatto per me stessa". Solo pochi giorni fa una sua canzone è entrata anche nella playlist della cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici di Parigi 2024. Qui l'intervista ad Alexia.

Che sensazioni hai provato sul palco del Tomorrowland?

È stato qualcosa di nuovo per me, anche perché un palco del genere non l'avevo mai toccato. Ho vissuto intensamente quel momento, cercando di abbracciare tutte le energie che arrivavano dal pubblico.

Cosa significa averlo fatto con Uh La La?

Come se avessi chiuso gli occhi e fossi ritornata agli inizi.

Dov'è iniziata la tua passione per la musica?

Sicuramente da mio padre, aveva una bellissima voce. Gli piaceva ascoltare di tutto, mentre mia madre era diversa: aveva gusti particolari e voleva subito educarmi ad avere un certo tipo di orecchio.

Per esempio?

Ella Fitzgerald: voleva capire dove potessi arrivare con la mia voce.

E invece quando è arrivata la sensazione di poter trasformare la musica in un lavoro?

Quando sono diventata grande e indipendente, ho cercato di guadagnare con questo mestiere anche con le cover band: facevano i classici dei Genesis, ma anche la musica dance e alcuni classici della musica italiana. Alcuni un po' osceni, polpettoni insomma.

Cosa ti ha spinto in quei momenti?

Credo la fame, la voglia di impormi, ma anche di girare e ascoltare musicisti. Quando ho avuto l'opportunità di girare l'Italia e l'Europa con la mia musica, passavo ore e ore in macchina a parlare con musicisti di talento: lì incominci a capire ciò che vuoi.

Pensi che avresti potuto fare altro?

Credo che uno dei segreti del mio successo, la spinta per quella fame, sia stato non avere mai un piano B. Forse non sarei stata così determinata, avendo un guanciale dove appoggiarmi.

In quel momento ti sei scontrata con un momento della musica italiana, in cui soprattutto nella dance, il nostro paese era un punto di riferimento internazionale. Com'è stato entrare in contatto anche con l'aspetto competitivo?

Non è stato facile, anche perché ero una ragazza di provincia. Mi sono prima ritrovata a Milano, poi Londra, Bruxelles, Madrid, Amsterdam, in Francia anche con i vertici della mia major. Posso dire onestamente che ci sono state molte cene che non riuscivo a digerire, anche perché cercavo di capire cosa stessero dicendo. C'era una barriera linguistica che all'epoca non era uno scherzo.

Cosa ti rasserenava in quel momento?

Credo salire sul palco. Lì le tensioni si scioglievano, ma soprattutto davo la conferma a loro che i soldi che stavano spendendo per me, erano spesi bene. Mi ha costruito subito una corazza.

A livello umano, com'è stato affrontare in giovane età tutto questo? C'è qualcosa che ti ha aiutato?

Ho sempre preferito non cercare aiutini chimici in determinate situazioni. Sono fatta così e lo sarò sempre. Per me la cosa più importante era rimanere lucida: ovviamente mi portava spesso a intristirmi, anche perché vivevo situazioni che non capivo e mi si leggeva in faccia. È stato forse il momento più duro e difficile da affrontare.

Credi sia stato quello uno dei motivi per la transizione musicale agli inizi del 2000? 

No, è un cerchio che volevo chiudere musicalmente. Sono una musicista, amo ascoltare generi musicali diversi e volevo avere una voce diversa, anche perché nella musica dance avevo un respiro relativo. Volevo fare qualcosa di diverso.

Com'è stato affrontare anche il cambio di platea, per lo più legato a un pubblico prettamente italofono?

Credo di aver fatto un pop non prettamente italiano, ma di maggiore comprensione. Credo sia legato al fatto di dare anche soddisfazione personale alla mia musica.

In che senso?

Come quando i grandi scrittori, dopo un bestseller, decidono invece di scrivere un saggio: quasi per appagare il loro senso di sacrificio per ciò che hanno fatto. Magari solo per affezionati, per delle persone con una sensibilità maggiore.

Una ricerca del riconoscimento "italiano"?

Sì, poter fare una cosa nel mio paese, essere riconosciuta come un'artista italiana, dopo aver passato tanto tempo in giro per il mondo. Dimostrare anche che l'Italia si può vantare di tanti talenti.

Perché pensi non venisse riconosciuto quest'aspetto?

Alcuni mi dicevano: "Ma non dire che sei italiana". Credo sia stato anche quest'aspetto a spingermi in quella direzione.

E quale miglior biglietto da visita che presentarsi al Festival di Sanremo 2002.

È stato qualcosa di intrinseco con ciò che stavo facendo con la mia casa discografica. Io avevo presentato quel brano ("Dimmi come…", ndr) in versione inglese e mi dissero che il pezzo non poteva essere pubblicato: mi dissero che era troppo maturo, andava troppo oltre rispetto a ciò che avevo presentato fino a quel momento.

Come arrivi, quindi, sul palco di Sanremo?

Io pensavo fosse un pezzo fresco: loro dissero di tenerlo da parte. Poi un giorno che ho incontrato un A&R nei corridoi, chiesi perché il pezzo non fosse piaciuto. La risposta fu: "Non hai capito, quello è il pezzo della tua svolta. Però lo devi fare in italiano". Quando mi chiesero di farlo in italiano, capii che c'era la volontà di presentarlo a Sanremo e per me era importante andare lì con un pezzo di rottura, che non seguisse i cliché.

C'era qualche voce che ti aveva infastidito?

Volevo dimostrare di non essere un'artista da studio, una ragazza immagine. Avevo voglia di gridare che quella era la mia voce e non un prodotto della tecnologia.

Perché una ragazza immagine? Hai subito bullismo in quegli anni?

Sì, ma anche ora. Le persone ormai sono mosse da un livore tale: certe cose le dicono senza pensare. Una volta i commenti si facevano dal parrucchiere, al bar. Alcune volte, quando sono scioccata da un commento sul web, vorrei rispondere a caldo, poi mi chiedo cosa possa aggiungere ciò che dico, quindi semplicemente lascio passare.

Su quale aspetto sei stata maggiormente attaccata?

Essere molto piccola. Ho sempre avuto un'etichetta: all'asilo ero Alessina, alle elementari Alessietta. Durante la mia carriera ho utilizzato tacchi per slanciarmi, ma alla fine ciò che avevo nella testa è sempre stato più importante.

Ritorniamo al 2003: dopo la non vittoria dell'anno precedente, quali erano le emozioni con cui ti presentavi al Festival di Sanremo?

Devo ammettere che non ero intenzionata a partecipare: ci sono state un paio di pressioni, soprattutto dal conduttore dell'epoca (Pippo Baudo). Mi convinse e quando lo incontrai per fargli sentire quali canzoni avevo, tra cui Per dire di no. Chiudeva un cerchio per me. All'epoca, Baudo fece sentire la canzone a sua moglie Katia Ricciarelli: disse che la canzone aveva degli armonici meravigliosi. Fu un buon lasciapassare.

Tu come ti sentivi?

Pensavo a godermela, quasi a sancire ciò che avevo fatto l'anno precedente.

La prima cosa che ricordi dopo la vittoria?

La pausa: avevo già pensato a prendermela e lo feci. Da lì ce ne furono altre ma desideravo sposarmi, avere il matrimonio che desideravo da tempo, una famiglia…

Hai mai pensato potesse arrivare prima questa pausa?

Penso fosse il momento giusto, quello in cui ho ceduto e ho pensato a chi sarei diventata. Quando mi sono guardata intorno e dentro e ho visto il vuoto, ho deciso che avrei fatto qualcosa di diverso. Bisognava lavorare bene e ricominciare tutto da capo: è stato un processo lungo, c'è voluta tanta pazienza, ma adesso posso dire che sia stato tempo investito bene. Mi ritrovo in un grande equilibrio, anche in momenti di stress.

Quel mondo della musica, al tuo ritorno, come ti ha trattata?

Ho provato solitudine in quel momento, ma ero anche cambiata io, decisamente. Prima ero molto attenta, focalizzata sul lavoro, la performance, ma anche molto sola. Avevo bisogno di silenzio attorno, non ero una party girl. Quando mi sono allontanata, ho trovato il vuoto attorno.

Ti ha fatto male?

Sicuramente mi ha lasciato delle ferite, ma sono stata aiutata, sono stata in grado di rimarginarle, però ci sono ancora i segni e questi segni sono importanti perché vanno sempre guardati.

Cos'è cambiato allora?

Ho deciso di rientrare nel mondo discografico in punta di piedi, aprendomi e non avendo paura delle persone che mi circondavano. Tutto questo, cercando di respirare meglio e aprendomi a nuovi mondi.

Poi è arrivato il Covid.

Pochi anni, ma è stata un'esperienza molto intensa. C'erano degli anni in cui non mi sono mai fermata, una follia, in cui sono stata sempre in tour. E invece quello mi ha fatto assaporare, da una parte, la mia famiglia. Ci siamo resi conto che, nonostante fossimo bloccati in casa, eravamo felici. Quindi avevo costruito con loro qualcosa di solido, questo mi ha fatto rendere conto di voler passare più tempo con loro.

Hai mai pensato al ritiro?

Sì, quando mi venne annullato un tour in Spagna a causa del Covid. Pensai che era il momento di fermarsi e stare con la mia famiglia.

E invece?

Parlai con i miei agenti che mi diedero della folle, ma ho detto che sarei tornata solo per qualcosa di diverso.

Qui arriva il tuo album di Natale immagino.

Assolutamente, volevo fare un regalo a me stessa. Ho fatto una ricerca molto accurata perché non volevo fare il solito progetto di Natale, volevo divertirmi e l'ho fatto grazie a tutti i musicisti con cui ho collaborato. L'ho fatto con un approccio molto aperto.

Dopo la musica, ti vedresti mai in un altro ruolo, magari da chioccia per altre artiste?

Sarebbe una cosa molto bella, ma a caldo, in questo momento, rifiuterei. Mi capita di fare dei seminare con giovani che vogliono fare questo mestiere ed è bellissimo condividere con loro la mia esperienza. Dall'altra parte, è una posizione di grande responsabilità e bisogna essere coscienti di ciò che si crea. Non bisogna promettere o creare falsi miti e illusioni.

E invece nei panni della conduttrice? Magari al Festivalbar, dove hai un record di presenze (nove partecipazioni).

Sarebbe interessante, un'esperienza che non avrebbe un aspetto principalmente canoro. Sicuramente avrei bisogno di studiare, anche perché servono tempi televisivi, ma se dovesse arrivare l'occasione non la escluderei.

C'è una giovane cantante in cui trovi affinità particolari rispetto alla debuttante Alexia?

C'è, sicuramente per capacità di stare sul palco, l'essere professionale e la serietà nel proprio lavoro. È Angelina Mango, la trovo così matura, così tanto che lei è anche più giovane di me, rispetto a quando avevo cominciato io.

Se dovessi descrivere la carriera di Alexia a un pubblico che non si è affacciato alla tua musica, con le tue parole, su cosa ti soffermeresti?

Descriverla non è sicuramente facile, soprattutto di fronte a ragazzi troppo giovani per conoscermi. Però adesso ho una figlia di 17 anni che suona il basso e di recente, dopo alcuni campus musicali, sono andata a vederla a un concerto di chiusura. Conosco i suoi amici e quando lei comincia a raccontare chi era sua madre, vedo i ragazzi con gli occhi sgranati. Ho avuto tante soddisfazioni nella mia carriera, ma resto sempre una persona con i piedi per terra.

Lo gireresti un documentario sulla tua carriera?

Vorrei vedere un film, anche perché qualche parte l'ho rimossa. Dall'altra parte, non ho mai voluto farmi fagocitare da questo mondo. Probabilmente mi privo di qualcosa, ma so che mi preserva da tante altre cose.

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