Aldo e Peppino: l’impatto social della memoria
Il 9 maggio, almeno fino al 1978, era l’anniversario della proclamazione dell’Impero, avvenuta al termine della guerra d’Etiopia. Dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro quella giornata, però, ha assunto un altro significato: le spoglie della Repubblica dei partiti, esposte al ludibrio pubblico, sono il sintomo una crisi strisciante che precipiterà dopo la caduta del muro di Berlino.
Una perdita talmente potente da annullare, per un lungo periodo, il lutto contemporaneo e solitario della famiglia Impastato e degli amici di Peppino, il cui decesso viene declassato a morte accidentale nel tentativo di compiere un atto terroristico.
Solo la caparbietà di chi ha saputo mantenere alto il valore della memoria, riuscendo alla fine a ristabilire la verità, ha restituito il “pericoloso” rivoluzionario alla sua comunità e alla storia nazionale come un militante antimafia sincero e appassionato, un innovatore, dal punto di vista comunicativo, che affronta l’avversario provocandolo con la satira, sino al limite del grottesco. Perché grottesca è la versione degli inquirenti che in terra di mafia vollero far passare il demoproletario di Cinisi come il “Bombarolo” di De André.
Il tempo passa e la Giustizia inesorabile arriva. Il piccolo siciliano trova la sua rivincita: provate a chiedere ad un giovane di vent’anni chi era Aldo Moro e chi era Peppino Impastato. Nel primo caso riceverete una risposta titubante e non sempre esatta, nel secondo caso avrete un’affermazione netta con riferimento preciso al fatto e al contesto.
Come è potuto accadere? Potenza del cinema e dell’immaginario collettivo. Nonostante le efficaci opere cinematografiche (Il caso Moro, Piazza delle Cinque Lune, Buongiorno, notte) realizzate sull’affaire Moro e le numerose analisi storico politiche, la sua figura, come uomo onorabile di un tempo andato, è rimasta viva nella memoria di una generazione che ha vissuto la trasformazione di fine Novecento.
I giovani nati negli anni Ottanta e Novanta, cresciuti nel nuovo millennio, hanno avuto davanti ai loro occhi un’altra Italia, quella in cui le mafie hanno messo radici grazie all’impunità ottenuta per delitti come quello di Impastato.
Un grande ruolo ha avuto il film di Marco Tullio Giordana, I cento passi, che ha trasformato Peppino in un’icona nazionale al punto che non si è più in grado di distinguere tra l’uomo reale e il personaggio interpretato da Luigi Lo Cascio. Un’opera tutta tagliata sulla capacità delle giovani generazioni di rompere con il passato e di attivare, attraverso una contestazione pregna di valori positivi (democrazia, libertà, solidarietà, integrazione ecc..), la visione di un futuro diverso contro cui si battono forze oscurantiste.
Ma non basta. Il film, entrando a far parte della dieta scolastica in materia di educazione alla legalità e alla cittadinanza, ha assunto la forma del mito: l’esistenza di un’Italia che nonostante la sconfitta rappresenta le radici di un impegno che nasce dal basso, dalla volontà di una parte della società civile, i giovani, di schierarsi contro le organizzazioni criminali.
Così Peppino è l’incarnazione di tutti gli studenti in corteo che scendono in piazza a contestare e a ricordare le vittime innocenti delle mafie, come suggerisce la scena finale del film. Ma è anche una specie di riduzione italiana di Che Guevara che chiama alla rivoluzione, disconoscendo la propria famiglia per difenderla meglio; una famiglia che non si chiama più Impastato ma Italia, come si intuisce nel discorso sul valore della bellezza.
E Moro? Rimane lì in soffitta pronto ad essere tirato fuori come un santino ogni volta che la politica ha bisogno di lavarsi un po’ la coscienza; il cavallo di razza imbalsamato da mostrare nelle occasioni topiche: l’uomo del centro sinistra, l’amico dei socialisti e dei comunisti, il precursore del Partito democratico e chi più ne ha più ne metta. Naturalmente si tratta di trasfigurazioni metastoriche condensate dalla vulgata pubblica generata dall’indifferententismo dei media.
Molti di quelli che usano Moro (e non mi riferisco a chi ne ha studiato la vita e le opere) nel discorso pubblico cercano di piagare il suo pensiero alle loro necessità tattiche per conquistare un po’ di simpatia trasversale tra le donne e gli uomini dai cinquant’anni in su.
Per darvi un esempio del differente impatto social tra i due personaggi pubblici ho provato a fare una ricerca su Facebook.
Se digitate Aldo Moro troverete due pagine fan poco curate (una non ha nemmeno la foto del profilo, l’altra usa, a mo’ di icona secolare, il famoso scatto con alle spalle la bandiera delle Brigate Rosse): la prima è solo uno specchietto di richiamo ai contenuti di Wikipedia, la seconda è stata creata ma non ha nessun contenuto caricato. Insieme raggiungono circa 21mila fans.
Se cercate Peppino Impastato troverete 5 pagine fan e un gruppo pubblico dedicati al personaggio. Basta dare uno sguardo alla prima pagina fan in ordine di priorità per accorgersi della differenza: il ragazzo di Cinisi raccoglie 619.268 “mi piace” con un diario sempre aggiornato – corredato di foto, video e articoli – sulle attività del movimento antimafia e sulla memoria delle vittime.
Il pubblico interconnesso di Facebook (che non è quello dei libri, né quello della televisione) attribuisce più valore social all’esempio di Impastato che a quello di Moro. Perché? La risposta è abbastanza semplice: la fascia di età più corposa di iscritti al network di Zuckerberg è quella che va dai 19 ai 45 anni (dal 2008 al 2013 rimane sempre intorno all’80% degli utenti). Ciò significa che i nati nei Novanta, insieme a quelli che avevano vent’anni in quel decennio, stanno riscrivendo la memoria digitale del nostro paese.
Immaginate se tra cento anni i libri e le testimonianze audiovisive dei media broadcast fossero scomparsi, irreperibili in ogni dove, l’unica fonte per lo storico sarebbe il digitale. Pur avendo a disposizione diverse informazioni da confrontare come dovrebbe valutare il diverso impatto social delle due figure in questione all’interno della storia d’Italia?
Spesso penso ai due morti nello stesso giorno e immagino, come in un film, quando si sono ritrovati vicini in attesa di oltrepassare la porta luminosa di quel luogo metafisico che chiamiamo Paradiso. L’anziano dice al giovane: «Piacere Aldo. Mi dispiace vederti qui così presto»; e il giovane all’anziano: «Piacere Peppino. Io so chi sei e ora comprendo anche perché sono qui».