Albert Camus: 60 anni fa moriva il Premio Nobel autore de “Lo Straniero”
Il 4 gennaio del 1960 Albert Camus muore in un incidente d’auto. Malato da tempo di tubercolosi, il celebre scrittore e filosofo finisce i suoi giorni in quello che lui stesso aveva definito il modo “più assurdo” di morire. L’assurdo, d’altra parte, aveva sempre fatto parte della sua visione esistenziale: dai primi romanzi come “Lo straniero” ai saggi celeberrimi come “Il mito di Sisifo”, Camus ha segnato il modo indelebile il nostro modo d’intendere l’uomo contemporaneo. A sessant’anni esatti dalla morte, riscopriamo il suo pensiero estremamente attuale.
Albert Camus: l’Algeria, il Premio Nobel e la morte
Nato in Algeria francese da una famiglia molto povera, orfano di padre a seguito della battaglia della Marna, e malato di tubercolosi fin dall'infanzia, Albert Camus visse sempre con estrema lucidità la propria condizione di “ultimo”, “solo” e “malato”: condizione condivisa con l’Uomo che è al centro della sua riflessione filosofica. Una riflessione che comincia fin da giovane, durante gli studi all'Università di Algeri, che prosegue grazie anche all'amicizia con Jean-Paul Sartre e l’incontro con l’Esistenzialismo, e che maturerà a seguito dell’impegno civile e politico dell’antifascismo.
Giornalista, scrittore di romanzi, saggi e testi teatrali, Albert Camus ha indelebilmente segnato il Novecento, tanto da conquistare, nel 1957, il Premio Nobel per la letteratura “per la sua importante produzione letteraria, che con serietà chiarificante illumina i problemi della coscienza umana nel nostro tempo”. Passeranno solo tre anni dall'importante riconoscimento alla scomparsa dell’autore: il 4 gennaio 1960 Albert Camus muore a seguito di un incidente stradale insieme all'editore Michel Gallimard.
Filosofia e letteratura: Camus e l’esistenzialismo in rivolta
Per comprendere appieno la complessità del pensiero filosofico di Albert Camus è necessario guardare soprattutto ai suoi romanzi. Racconti che non trovano la loro ragion d’essere nel compiersi delle vicende, bensì nel perennemente irrisolto di un sentimento dell’assurdo, tragico poiché inconciliabile, che emerge soprattutto da quello che Camus sceglie di non raccontare. Scoprire Camus vuol dire passare attraverso la lettura, necessaria, di romanzi come “Lo straniero” (1942) e “La peste” (1947), e affiancare a questi, come un commentario esistenziale, pagine come “Il mito di Sisifo” (1942) e “L’uomo in rivolta” (1957).
Tracciare questo percorso letterario vuol dire addentrarsi nel profondo di una riflessione in continua evoluzione perché mai concentrata solo su se stessa: anche nei momenti più intimi e sofferti di quell'esistenzialismo “negativo”, l’uomo indagato da Camus è sempre e perennemente anche un uomo nella Storia. Un uomo che ha subito il trauma del “divorzio dalla propria vita”, divenendo “straniero” a tutto, appestato e malato, ma che ad un certo punto realizza una verità innegabile: che non potrà mai “essere felice da solo”.
So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non essere più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace, o, al suo posto, in una buona morte. Questo può dar sollievo agli uomini e, se non salvarli, almeno fargli il minor male possibile e persino, talvolta, un po' di bene. E per questo ho deciso di rifiutare tutto ciò che, da vicino o da lontano, per buone o cattive ragioni, faccia morire o giustifichi che si faccia morire. Cerco di essere un assassino innocente; lei vede che non è una grande ambizione. Bisognerebbe certo che ci fosse una terza categoria, quella dei veri medici, ma è un fatto che non si trova sovente, è difficile. Per questo ho deciso di mettermi dalla parte delle vittime. In mezzo a loro, posso almeno cercare come si giunga alla pace.
“La grandezza dell'uomo è nella decisione di essere più forte della sua condizione”: non c’è modo alcuno per andare contro quella condanna che ci impegna ogni giorno a compiere gesti che, come il masso di Sisifo, ritorneranno sempre a cadere nell'insensato, ma c’è modo, arriva a dire Camus, per essere più forti di tale condizione. Una presa di coscienza vera e propria non c’è mai e non è mai definitiva, ma in fondo a quel percorso che ridiscute perennemente i termini dell’esistenza c’è un punto fermo che questo scrittore filosofo chiamerà “rivolta”.
Cos'è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual è il contenuto di questo "no”?