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Al San Carlo di Napoli torna in scena la “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti

Fino al 30 marzo andrà in scena il dramma tragico in tre atti più importante di Gaetano Donizetti che lo concepì proprio per il Teatro di San Carlo il 26 settembre 1835.
A cura di Massimiliano Craus
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"Lucia di Lammermoor"
"Lucia di Lammermoor"

Il ritorno della "Lucia di Lammermoor" al Teatro di San Carlo è la ripresa del riuscitissimo allestimento di cinque anni fa, griffato dalla regia di Gianni Amelio, le scene di Nicola Rubertelli, i costumi di Maurizio Millenotti e le luci di Pasquale Mari. L'allestimento di questi giorni è stato tuttavia ripensato dalle riprese registiche ad opera di Michele Sorrentino Mangini, costumistiche di Tiziano Musetti e con le luci di Fiammetta Baldiserri. Sul podio a dirigere Coro e Orchestra del Massimo napoletano ci sarà la bacchetta di Stefano Ranzani, direttore d'orchestra che annovera tra i suoi ultimi impegni l'inaugurazione della stagione 2016/2017 del Teatro Colón di Buenos Aires con il "Macbeth" di Giuseppe Verdi, "La Boheme" di Giacomo Puccini alla Bayerische Staatsoper di Monaco ed al Teatro La Fenice di Venezia, "La traviata" di Giuseppe Verdi alla Seattle Opera.

La regia del calabrese Gianni Amelio è senz'altro un valore aggiunto al dramma di Gaetano Donizetti, composto sul libretto di Salvatore Cammarano che, a sua volta, ha attinto parecchi benefici dal romanzo "The Bride of Lammermoor" di Sir Walter Scott nel 1819, ambientato nella Scozia del 1700 circa, a differenza dell'opera donizettiana che invece ha spostato l'epoca dell'azione al secolo precedente. Regista cinematografico noto soprattutto per "Il ladro di bambini", Gianni Amelio offre una rilettura tradizionale del capolavoro donizettiano, assolutamente rispettosa del testo e della tradizione come lui stesso ha tenuto a precisare:

Lucia di Lammermoor" passa per essere un’opera statica. Io credo di aver esagerato, in senso buono, questa staticità. Perché non si tratta di un’immobilità di sentimenti, di vicende interiori. È solo la stessa staticità che potrebbe avere un film di Bergman paragonato ad uno di Tarantino. È dovuta al fatto che il librettista e il musicista scavano all’interno dei caratteri. Io ho cercato di mantenermi il più possibile fedele alle le indicazioni del libretto, ma soprattutto a quella che è la forza e la continuità della partitura.

Il cast vocale è di fama internazionale per cui ci piace ricordare i tre ruoli principali Lucia, Edgardo, Lord Ashton, interpretati rispettivamente dal soprano partenopeo Maria Grazia Schiavo, dal giovane tenore albanese Saimir Pirgu e dal baritono Claudio Sgura. Tuttavia si ricordano tanti passaggi gloriosi con la "Lucia di Lammermoor" di Gaetano Donizetti sulle sessanta complessive. Basti pensare ai nomi di Fanny Tacchinardi Persiani, Adelina Patti, Toti Dal Monte e, negli ultimi cinquant'anni, Maria Callas, Renata Scotto, Luciana Serra, Mariella Devia. Fra i tenori, invece, si segnalano Gilbert Duprez, Tito Schipa, Beniamino Gigli, Luciano Pavarotti e Alfredo Kraus. E poiché quest’anno si ricordano i quarant’anni dalla morte di Maria Callas ci piace ricordare la sua Lucia al Teatro di San Carlo nel 1956 accanto Gianni Raimondi e Rolando Panerai, guidati dalla bacchetta di Francesco Molinari Pradelli per un successo che in questi giorni si proverà a ricalcarne l'onda dell'entusiasmo.

Maria Callas al Teatro di San Carlo nel 1956
Maria Callas al Teatro di San Carlo nel 1956

Composta in sole cinque settimane, "Lucia di Lammermoor" rappresenta senza dubbio l’opera più celebre del prolifico compositore bergamasco, nonché una delle opere più amate di tutto il repertorio del melodramma romantico. Un successo immediato, dunque, fin dalla prima rappresentazione avvenuta il 26 settembre 1835 al Teatro di San Carlo, testimoniato finanche dalle pagine indimenticabili dedicate a quella Lucia di Lammermoor da Gustave Flaubert in "Madame Bovary". La direzione artistica del Massimo napoletano fa infine presente che in questa occasione sarà previsto l’uso della glassa armonica, suonata da Sascha Reckert e Philipp Marguerr, strumento che Gaetano Donizetti pensò appositamente per la scena della pazzia, che però non poté essere impiegata nella prima assoluta dell’opera. Si pensi che l’utilizzo di questo strumento, strutturato in chiave moderna nel diciottesimo secolo, è stato considerato per molto tempo connesso a patologie celebrali per le vibrazioni e la sonorità del vetro e la spettralità del suono prodotto, o addirittura in grado di curarle!

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