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Maschilismo linguistico: i sinonimi di ‘prostituta’ al maschile hanno un altro significato

Le parole del genere non sono poche. Al maschile hanno significati dignitosi e del tutto innocui, al femminile vanno perlopiù a parare su un significato solo. Vediamo come e perché.
A cura di Giorgio Moretti
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Questo è un periodo in cui l'equilibrio fra i generi occupa una parte sostanziosa del dibattito pubblico. Molte delle questioni considerate sono morali, di costume, riguardano comportamenti. Tante sono questioni di diritto. Ma molte altre sono invece più strettamente linguistiche: e sono molto importanti, perché le nostre parole sono lo specchio del nostro pensiero.

Una delle questioni di genere linguistico che ricorre più di frequente è il mutamento di significato di una parola fra maschile e femminile: mentre al maschile la tal parola descrive qualcuno che svolge una professione, un'azione o occupa un certo posto, al femminile acquista il significato popolare di ‘prostituta', o qualcosa del genere. Per capire meglio questo meccanismo senza essere prosaici, vediamo alcuni di questi nomi maschili, coi loro significati così ben torniti.

  • Massaggiatore: è quel professionista che friziona e preme il corpo di una persona secondo precise tecniche di manipolazione a scopo terapeutico (specie in ambito sportivo ed estetico).
  • Cortigiano: gentiluomo che frequenta la corte di un potente, come collaboratore e ospite, ma spesso in maniera clientelare, adulatoria, untuosa.
  • Passeggiatore: chi passeggia usualmente, per diletto, per passione o per qualunque altro motivo.
  • Accompagnatore: uomo che sta al fianco di un'altra persona, in particolare per assisterla, talvolta con connotati cavallereschi.
  • Peripatetico: nell'antica Atene, l'allievo che seguiva Aristotele, il quale teneva lezione camminando nel giardino del ginnasio di Apollo Licio; persona che cammina in maniera continua e agitata.
  • Intrattenitore: chi per professione o per occasione diverte e fa passare il tempo a qualcuno.

Alcuni di questi termini sono meno comuni, altri sono più che quotidiani. E non sono tutti. Ma è inequivocabile che, volgendoli al femminile, il risultato che si ottiene, se non proprio univoco, può almeno essere fortemente ambiguo, sottendendo che l'omologa figura femminile sia dedita alla prostituzione, al mercimonio del proprio corpo.

Qual è il meccanismo che sta dietro a questo puntuale, ingiurioso slittamento di significato? Non è difficile dirlo. Ciascuna delle parole viste, se riferita a una donna, permette a un pensiero allusivo, malizioso e svilente di vedervi i tratti tipici del profilo della prostituta. Che l'aggancio sia la frequentazione da una posizione subalterna, come accade con la cortigiana, con l'accompagnatrice o con l'intrattenitrice, che sia il richiamo all'offerta di sé per strada, come nella passeggiatrice o nella peripatetica, o che sia un'attività eufemistica che implica il contatto fisico come con la massaggiatrice, la gravità del pianeta-prostituta sembra invincibile. Ed è proprio da equazioni del genere, che accostano in maniera sistematica delle figure femminili al meretricio, che dobbiamo guardarci: sembrano così naturali e tradizionali, e nascondono invece significati così gravi.

Peraltro questo meccanismo agisce in modo evidente anche per certi aggettivi: pensiamo a ‘pubblico' e ‘facile'. Un uomo pubblico e un uomo facile sono personaggi l'uno di grande dignità, l'altro alla mano, e di grande simpatia. Ma una donna pubblica? Una donna facile?

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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