Adesso siamo un popolo, mai come questa volta ognuno di noi è importante
Pubblichiamo il contributo "Il frutto della paura" che ci ha inviato lo scrittore e paesologo Franco Arminio sull'emergenza coronavirus che stiamo attraversando. L'ultimo libro di Arminio è "L'infinito senza farci caso", edito da Bompiani.
Non è il momento di pensare al mondo che verrà. Non facciamo proclami clamorosi di ravvedimento e nemmeno è il caso di usare toni come se fossimo dentro la fine del mondo. Mi chiedo cosa accadrà se dovessimo arrivare a centomila morti. La verità adesso è molto semplicemente quella di una battaglia sanitaria. Non credo sia il caso di allungare lo sguardo troppo oltre la dimensione medica. Bisogna prevenire il contagio il più possibile e bisogna riempire gli ospedali di ventilatori per la respirazione assistita. Questa necessità è particolarmente urgente a Sud. Insomma dobbiamo essere concisi, puntuali, concreti.
La drammatizzazione di gente che non mette il muso fuori di casa è davvero fuori luogo. Si può uscire per strada, specialmente nei paesi. Il virus non è come il polline, non lo prendi semplicemente respirando. Da giorni e giorni un’enorme quantità di informazione si rovescia sugli italiani, ma poi nella sostanza non è che sappiamo molto. Dopo le giuste restrizioni, anche se in qualche caso tardive (penso alla chiusura dei bar), ora ci dobbiamo concentrare sulle nostre forze.
Non dobbiamo comportarci da bambini impauriti. Siamo un popolo di vecchi, in gran parte, e come tali dovremmo anche aver raggiunto qualche forma di saggezza. Non è utile pensare che ci ammaleremo tutti, non c’è alcuna evidenza scientifica che questo debba accadere per forza. Dobbiamo fare una vita prudente e sana e piena di pazienza. È vero che ci sono dei danni economici per molte categorie di cittadini, ma cominciamo da adesso a ridurre il peso dell’economia nella nostra vita. Se abbiamo una bella casa il virus non se la può mangiare. Il virus può rubarci la salute e assottigliare il nostro portafogli, ma abbiamo anche dei guadagni, a pensarci bene. Per prima cosa siamo più consapevoli che la vita non la puoi mettere in sicurezza da nessuna parte: vivere è intimamente pericoloso. L’altro grande guadagno è vedere l’Italia più silenziosa e vuota: le città sembrano tornate agli anni cinquanta. Viviamo in una nazione bellissima e ora che tutto si è fermato questa bellezza è più evidente.
Allora bisogna usare bene la bilancia, bisogna usarla ogni giorno: stavamo tutti sparpagliati, presi da una corsa insensata. Adesso siamo un popolo, o quanto meno possiamo rieducarci a ritornare un popolo. Ribadisco: niente tremori infantili e niente proclami. E mettiamo in quarantena lamenti e recriminazioni: non sta finendo nessun mondo e forse non sta cominciando nessun nuovo mondo.
Siamo quelli che siamo, stiamo facendo quello che sappiamo fare, e forse ci sono più eroismi che viltà in circolazione. Non sappiamo cosa accadrà a noi e all’Italia fra una settimana. Sappiamo che mai come questa volta ognuno di noi è importante. Il semplice esercizio di essere cittadini attenti e rispettosi delle norme è già una bella rivoluzione, il frutto inaudito della paura.