Anche questa edizione del Concertone del Primo Maggio è andata, la prima dal Circo Massimo. Un'edizione battezzata dalla pioggia, da un nubifragio che ha dato non pochi problemi all'inizio, con Ermal Meta costretto a correre sul palco per un fuori programma. Pian piano la situazione è migliorata, inizialmente la pioggia ha portato il Circo Massimo a diventare una distesa di ombrelli colorati, mentre alcuni artisti sul palco si sono inzuppati. Sempre di più, però, l'impressione è che questo Primo Maggio abbia più la valenza di quello che era il Festivalbar: è vero, si dice da anni, da anni si lamenta la depoliticizzazione di questo che è sempre stato l'evento politico per antonomasia.
Eppure sembra sempre più così: la musica è sempre stato veicolo di messaggi, i musicisti lo sono sempre stati, almeno da quel palco, ma da qualche anno a questa parte la musica è una sorta di specchietto per le allodole, serve ad attirare pubblico, ma manca il messaggio da veicolare, e quelli che si riescono a mandare sono sempre più annacquati, poco incisivi, generali ("Viva la pace", ma di quale pace parliamo?), quasi come se il nucleo politico del Concertone fosse diventato qualcosa di contorno, anzi, come uno zio fastidioso, che nella tavolata di Natale cerca di parlare dei problemi che affliggono la società, ma rovina la festa e lo si tratta un po' con sufficienza. Ci vuole Geolier a citare le carceri, per esempio, poi Tananai che dedica Tango al rapper iraniano Toomaj Salehi condannato a morte o Achille Lauro che legge alcuni articoli della Convezione Universale dei diritti umani, o la bandiera palestinese mostrata da Cosmo, oltre la Mezzanotte, ma è veramente molto poco e soprattutto sembra che sia stato fatto solo in serata.
Siamo di fronte al più grande concerto gratuito europeo, come a un certo punto dice Noemi, in veste di conduttrice, ma resta esclusivamente un concerto che unisce alcuni dei principali cantanti italiani che cantano una, due, tre canzoni, i propri successi e la canzone in promo e vanno via. Qualcuno ci prova a dire qualcosa, a fare un accenno, ma si è sempre più anestetizzato, e non ci sono più neanche i battitori liberi come il fisico Carlo Rovelli, al massimo c'è Jane Goodall, fantastica ma il cui intervento sembrava qualcosa di totalmente decontestualizzato.
Praticamente siamo alla costola di Sanremo dove però, talvolta, si sente molta più politica (lì ci furono i "casi" Ghali e Dargen D'Amico). Non bastano i pochi minuti dedicati ai sindacati, è tutto anestetizzato, eppure è il Concertone del Primo Maggio, servirebbe a sensibilizzare sui temi del lavoro e non solo: da sempre, infatti, è stato un palco per parlare di diritti, ma molti dei cantanti che vi sono saliti non li sentiamo mai prendere alcuna posizione e finisce che quel palco diventi solo una vetrina televisiva e di promozione. È veramente questo che deve essere il Concertone? Chiariamoci, va anche bene, basta che ce lo diciate e noi lo guarderemo come guardiamo i Festival tutti uguali, con gli stessi cantanti e le stesse canzoni, che invadono le tv ogni estate. E non basta una versione bruttina di Bella ciao per salvare la baracca.