Addio allo scrittore Imre Kertész, il Premio Nobel che ha raccontato l’orrore di Auschwitz
Lo scrittore ungherese è morto nella sua casa di Budapest, a 86 anni. Imre Kertész è stato uno dei più importanti romanzieri in lingua ungherese, e una delle voci più forti ed ostinate nel raccontare la tragedia dell'olocausto: "Essere senza destino", il suo primo e più famoso romanzo, pubblicato per la prima volta in Ungheria nel 1975 e in Italia nel 1999 da Feltrinelli, è il racconto dell'esperienza di un quindicenne ungherese che passa attraverso gli orrori dei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald. Il libro, e l'instancabile attività letteraria che sempre lo ha accompagnato, valse a Kertész il Premio Nobel per la Letteratura nel 2002, "per una scrittura che sostiene la fragile esperienza dell'individuo contro la barbarica arbitrarietà della storia".
Nato a Budapest nel 1929 da una famiglia ebraica, non ancora quindicenne Imre visse in prima persona l’orrore dei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald. Una tragedia che segnò la sua vita per sempre, e che egli ha deciso di raccontare al mondo con forza straordinaria e una smisurata fiducia nell’umanità, nonostante tutto. Imre Kertész era convinto che il riscatto sia sempre possibile, che al male si possa rispondere con il bene, attraverso il dialogo: una posizione difficile negli anni che lo videro protagonista indiscusso del panorama letterario ungherese, tanto da venire per lungo tempo ignorato dall'opinione pubblica europea che lo riscoprì soltanto dopo il crollo del muro di Berlino.
Tornato in Ungheria dopo la liberazione dai campi di concentramento, nel 1948 Kertész cominciò a lavorare come giornalista per un quotidiano di Budapest, ma quando nel '51 il giornale divenne organo del Partito Comunista fu licenziato. Dopo due anni di servizio militare, per mantenersi iniziò a scrivere romanzi e a tradurre opere di Freud, Nietzsche, Canetti, Wittgenstein e altri grandi filosofi. Al 1975 risale il suo successo letterario: "Essere senza destino".
Essere senza destino: la memoria dell'orrore
"Ogni volta che penso a un nuovo romanzo penso a Auschwitz", diceva Imre Kertész. Un'esperienza, quella dei campi di concentramento, che non può che segnare per sempre la vita e lo sguardo di chi s'impegna a descrivere la realtà con le parole, come Imre aveva scelto di fare. Lo scrittore impiegò quasi 13 anni a mettere insieme i suoi ricordi: il libro riflette in parte la sua storia, ma Kertész ci tenne sempre a precisare come non si trattasse di una storia autobiografica.
Gyurka è un adolescente ungherese che vive a Budapest. Un giorno, senza un apparente motivo, il tram che normalmente lo porta a lavoro viene fermato, e lui ed i suoi amici vengono fatti scendere. Dopo una marcia che vede confluire tanta altra gente "simile a loro", con tante stelle gialle cucite sulle giacche, vengono tutti rinchiusi e spogliati dei beni più preziosi per poi essere trasferiti "a lavorare" in Germania.
"Essere senza destino" è considerata una delle testimonianze fondamentali sull'Olocausto, ma in Europa venne quasi del tutto ignorato fino agli anni Novanta, quando il libro uscì in Germania. Nel 2002 contribuì a fargli vincere il premio Nobel per la Letteratura, e nel 2005 ne fu tratto un film di Lajos Koltai, "Senza destino", di cui Kertész ha curato la sceneggiatura.
Oltre alla sua opera fondamentale, Kertész viene ricordato soprattuto per "Diario dalla galera", del 1992 (traduzione di Krisztina Sándor per Bompiani, nel 2009), "La lingua esiliata", del 2001 e "Liquidazione", del 2003 (traduzione di Antonio Sciacovelli per Feltrinelli, nel 2005).