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Addio alla virgola, dall’America la proposta shock: “Aboliamola!”

John McWhorter, un anglista della Columbia University, ha dichiarato sulla rivista online “Slate magazine” che abolendo le virgole dalla maggior parte dei testi americani moderni “perderete tanto poco da pensare che sia il caso di ometterle del tutto”.
A cura di Andrea Esposito
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Ve la ricordate la celebre scena della lettera di Totò, Peppino e la malafemmina? È forse uno dei numeri comici più esilaranti del famigerato duo partenopeo, fonte infinita di tormentoni e battute da “una grande moria delle vacche, come voi ben sapete” a “il giovanotto è uno studente che studia che si deve prendere una laura”. Ma ciò che ci interessa sottolineare non sono né gli strafalcioni grammaticali, né gli equivoci linguistici del grande Totò, ma l’uso volutamente esasperato che fa della punteggiatura: “Punto, due punti! Ma sì, abbondiamo…”, “L’hai aperta la parente? Chiudila!”, oppure nel finale, “Punto, punto e virgola e due punti!”.

Fino a oggi, infatti, saper utilizzare la punteggiatura è sempre stato sinonimo di istruzione, di cultura, per questo il Principe, nel ritrarre lo zotico Antonio Caponi alle prese con un dettato, ostenta virgole e punti come fossero ghirlande fiorite. Inoltre, a riprova di ciò, basti pensare che la recente scomparsa di segni come i due punti o il punto e virgola, ormai introvabile, è spesso ritenuta il segnale dell’imbarbarimento della scrittura d’oggi che tende sempre di più alla semplificazione grafica (e, ahinoi, anche ortografica).

La soluzione, almeno per qualche tempo, sembrava essere, come ha notato Stefano Bartezzaghi, quella di una virgola “piglia tutto”, vale a dire, un segno usato in luogo di tutti gli altri, fatta eccezione per il punto. E in effetti, nella prassi è andata proprio così: gettando un occhio sui giornali (non certo il nostro, naturalmente!) o guardando le pubblicità per strada, si può notare che quando proprio è indispensabile una qualche pausa, ci piazzano una bella virgola e finisce lì.

Ma la notizia è che il dominio della virgola, l’highlander della grammatica, è ormai agli sgoccioli: secondo John McWhorter, un anglista della Columbia University, “Potete toglierle da parecchi testi americani moderni e in chiarezza perderete tanto poco da pensare che sia il caso di omettere le virgole del tutto”. Gli fa subito eco Simon Horobin, professore del Magdalene College di Oxford: “C’è una tendenza generale a un uso più lieve della punteggiatura, che sta mettendo chiaramente al tappeto l’utilizzo della virgola». Apriti cielo!

In realtà la riflessione sul declino dell’uso dei segni d’interpunzione nei nuovi strumenti di comunicazione (social network, ma anche e-mail e internet in generale) è un argomento dibattuto già da qualche tempo ed ha prodotto, come sempre in questi casi, due schiere contrapposte: da un lato, gli apocalittici che gridano allo scandalo e invocano lo spirito di Foscolo e Leopardi; dall’altro, gli integrati che adducono esempi di volgarizzazione della lingua già a partire dai greci o dai romani. L’argomento canonico è quello delle iscrizioni antiche, i cosiddetti epigrammi, in cui si utilizzavano abbreviazioni e sigle che qualcuno riconduce ai nostri “xché”, “cmq”, “tvb” eccetera.

Ammettiamo pure che sia così, ma siamo davvero sicuri che possa esistere addirittura una lingua senza segni d’interpunzione? “La maggior parte dei segni grafici sono convenzioni, ed è naturale che cambino nel corso del tempo” ribatte il Prof. McWhorter. Il che può essere vero ma, come nota ancora Bartezzaghi, bisogna contestare a monte tali argomentazioni, e cioè “che il linguaggio sia funzionale alla ‘chiarezza’ e che quanto nel linguaggio si riveli non funzionale alla chiarezza sia superfluo e, appunto, rinunciabile”. Cosa ne sarebbe, aggiungiamo noi, della meravigliosa e verbosissima letteratura ebraica americana di Bellow, Malamud e Philip Roth?

Se però prescindiamo per un attimo dalla letteratura e pensiamo all’inglese, lingua come si usa dire “target oriented”, la cosa potrebbe anche funzionare, ma per l’italiano? Come faremmo noi italiani, si chiede qualcuno, maestri dell’inciso, delle lunghe perifrasi, delle premesse, dei “tra parentesi”, a esprimerci compiutamente rinunciando a fronzoli e voli pindarici?

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