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Addio a Alberto Bevilacqua, poeta nostrum

Ci lascia uno dei grandi poeti della “generazione di mezzo”. Autore di romanzi e poesie indimenticabili, premiato più volte con riconoscimenti prestigiosi (Campiello, Strega, Bancarella) e tradotto in molte lingue.
A cura di Andrea Esposito
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«Amo raccontare la verità che racchiude la fantasia, è sempre stato il mio tema… la realtà che contiene la fantasia». Alberto Bevilacqua pronunciò queste parole nel corso di un’intervista per la presentazione del suo romanzo “Viaggio al principio del giorno” (Einaudi 2001), che è poi un giocoso rovesciamento di “Viaggio al termine della notte” di Cèline, autore da cui era rimasto abbagliato negli anni dell’adolescenza.

E così vogliamo ricordarlo nel giorno della sua scomparsa: come un realista che esplorava la vita senza timori né preclusioni, accogliendo anzi quegli elementi irrazionali, diciamo pure magici, con grazia e stupore.

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Autore di molti romanzi e raccolte poetiche tra cui “La califfa", del '64 da cui lui stesso trasse un film, “Questa specie d’amore” Premio Campiello nel ’66, anch’esso trasposto al cinema e vincitore di un David di Donatello. E poi lo Strega nel 1968 per “L’occhio del gatto”. Ma anche tanti successi più recenti come “Il curioso delle donne”, “I sensi incantati”, Tu che ascolti”, “Lui che ti tradiva”.

Proprio quest’ultimo titolo, pubblicato nel 2006, rivelò al pubblico e alla critica uno degli episodi forse più tragicamente significativi della vita dello scrittore, chiarendo molto sulla sua poetica e sul suo fervore intellettuale: «Ero uno straccio di carne», un bambino di sei anni che prende il sole nudo sul greto del fiume. Quando una donna «gigantesca» con due cani a seguito abusò di lui. «Fu la fine di tutti i sogni sull’universo femminile […] Ricordo tutto, tutto. Anche l’ebbrezza di uccidere, provata dopo la violenza sessuale. “Lui che ti tradiva” è un libro che mi è costato moltissimo: l’ho scritto come un urlo di protesta contro chi non vuol capire che ogni uomo è fatto di ciò che ha vissuto, dei drammi che si porta dentro e che limitano il suo libero arbitrio» e questo ci sembra il suo testamento letterario.

La violenza sessuale dunque ma anche il tormentato rapporto con la madre Lisa che vittima di una violenta depressione, era scivolata nel terrore di uccidere il proprio figlio. Così per sfuggire al suo atroce complesso di Medea, aveva rinunciato al mondo, chiudendosi in un manicomio. Fu perciò la nonna a tirarlo su e a ispirare il personaggio della “Califfa”: «Mia nonna era una quercia, aveva avuto diciotto figli, era una capopopolo, che guidava tutto l'Oltretorrente. Non era una donna, era un totem, un'entità senza sesso, ma con tutto: tutti i sessi, tutti i poteri».

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Ci mancherà Alberto Bevilacqua, anche se già da qualche anno era assente dal dibattito pubblico, e ci mancherà soprattutto per il suo piglio polemico, per la sua impietosa sincerità, per il suo disilluso lirismo. Come suggello a una straordinaria carriera letteraria, nel 2010, Mondadori gli ha dedicato un Meridiano. Si potrebbe ripartire da qui, dalla sua opera “quasi” omnia, per trasmettere ai posteri il suo pensiero potente e dolce.

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