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A Ginevra c’è il museo più grande e ricco del mondo: ma nessuno può visitarlo

Si trova in una zona periferica di Ginevra, e ad un primo sguardo non sembrerebbe proprio un museo. In effetti, il Geneva Freeport è un immenso deposito di capolavori inestimabili, di proprietà dei privati: e non si può visitare.
A cura di Federica D'Alfonso
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(@RPerezChavez su Twitter)
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Esiste una grande fetta del patrimonio storico artistico che è, potremmo dire, “sommerso”. Tantissimi tesori che nessuno probabilmente vedrà mai, perché chiusi nei depositi dei musei in attesa di essere esposti. Non è un mistero che i sotterranei del Louvre trabocchino di opere d'arte conservate lontano dagli sguardi del pubblico, e che anche in Italia, a causa a volte della mancata catalogazione, giace non visto. Ma in generale, si tratta pur sempre di opere che, almeno in teoria, appartengono a tutti. Esiste invece un posto, in Svizzera, dove migliaia di opere d'arte, reperti archeologici e beni preziosi vengono conservati, alla larga degli sguardi dei curiosi. Entrarvi e pressoché impossibile, e per motivi ben precisi.

Il direttore stesso del Louvre, Jean-Luc Martinez, lo ha definito “il più grande museo esistente che nessuno può vedere”, e secondo Jean-René Saillard, direttore delle vendite per il Fine Art Group, "sarebbe probabilmente il miglior museo al mondo se fosse un museo".

Stiamo parlando del Geneva Freeport: un enorme magazzino, situato in una zona periferica della città di Ginevra, circondato dai binari del treno. Anche ad un primo sguardo, questo luogo non pare certo invitare alla visita.

#Genevafreeport
#Genevafreeport

Ma questo posto, apparentemente anonimo, al suo interno conserva tesori inestimabili: reperti archeologici di epoca etrusca e romana, opere di Leonardo da Vinci, Van Gogh e Picasso. Ma da dove viene questo tesoro? Si tratta degli acquisti dei privati che investono ogni anno miliardi nel mercato d'arte, e che scelgono di “conservare” nel Freeport di Ginevra, proprio come in una cassaforte, il loro bottino. Perché? La società che gestisce questo “magazzino” garantisce la sicurezza del trasporto, le migliori condizioni di conservazione e sorveglianza, e condizioni fiscali particolarmente vantaggiose.

I tesori nascosti

Watersnakes II, Gustav Klimt
Watersnakes II, Gustav Klimt

Secondo alcune stime rilasciate dalle agenzie ufficiali, il Geneva Freeport conterrebbe rari sarcofagi etruschi, reperti di epoca romana, e intere collezioni di importanti magnati. Come quella del russo Dmitry M. Rybolovlev, che supera i 2 miliardi di euro di valore: la sua collezione comprende un Rothko, un Van Gogh, un Renoir, “Watersnakes II” di Gustav Klimt, il San Sebastiano di El Greco e “Les Noces de Pierrette” di Pablo Picasso, solo per citarne alcuni.

E poi ancora: 19 opere di Pierre Bonnard, di proprietà della famiglia Wildenstein, e un ritratto della seconda moglie di Picasso, spedita a Ginevra, secondo i documenti, insieme ad altre 78 opere nel 2012.

Sul confine dell'illegalità

Non è di certo un fenomeno che nasce improvvisamente: i cosiddetti porti franchi vengono usati a partire dal diciannovesimo secolo per lo stoccaggio temporaneo di merci come il grano, il tè e i prodotti industriali più vari. Ma solo negli ultimi decenni, questi luoghi sono divenuti delle vere e proprie casseforti per i super-ricchi: molte agevolazioni, ma anche molti aspetti controversi.

Se, infatti, si cerca su Google “Geneva Freeport”, escono una serie innumerevoli di articoli legati alla cronaca e ai furti d'arte: per il modo in cui sono pensati e gestiti, questi luoghi si prestano sempre di più ad ospitare anche affari illegali, ad essere il punto di ritrovo di oggetti rubati provenienti dal mercato nero dell'arte. L'ultimo caso, di qualche settimana fa, relativo ai beni archeologici saccheggiati dai siti di Palmira, della Libia e dello Yemen. Molti dei manufatti ritenuti perduti sono stati rinvenuti fra 2012 e 2014 nei depositi svizzeri: ma ad oggi, nessuna condanna penale è stata emessa.

Un nuovo approccio all'arte?

Quello di Ginevra non è l'unico “porto franco” del mondo: come questo, ne esistono a Singapore, Monaco, e negli Stati Uniti. Esiste un dibattito molto acceso riguardo la proliferazione di questi luoghi, o come direbbe Marc Augé, non luoghi d'arte: alcuni rintracciano nelle enormi sale piene di opere inaccessibili la fenomenologia di un cambiamento nel modo d'intendere e percepire l'arte: i collezionisti preferiscono tenere al sicuro i loro investimenti, piuttosto che esporli al pubblico. Una controversia immensa: luoghi sicuri, in cui di certo i problemi relativi alla tutela e alla conservazione sono minimi, ma completamente inaccessibili al grande pubblico. Che sia questo, il futuro dell'arte?

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