A Baia svelato un teatro sommerso: tra le ipotesi, che appartenga alla villa di Giulio Cesare
Le recenti ispezioni subacquee sotto la fortezza quattrocentesca di Baia, in Campania, dirette dall’università IULM di Milano, hanno permesso l’identificazione di un piccolo teatro del II-I secolo a.C. dove si svolgevano rappresentazioni legate ai miti marini. I resti potrebbero far parte di una più vasta dimora a terrazzamenti che partiva dalla sommità del castello per arrivare giù a mare. Gli studiosi non escludono che la residenza possa essere appartenuta a Giulio Cesare. Dai fotogrammi satellitari la sagoma del teatro non lascia spazio a dubbi. Le inquadrature di Google Earth nelle acque di Baia sottostanti il castello aragonese delineano la forma semicircolare con la cavea, cioè le gradinate su cui prendevano posto gli spettatori, l’orchestra per le danze del coro e la scena dove recitavano gli attori. Ma solo un’attenta ricognizione subacquea ne ha potuto dare conferma e ha permesso agli archeologi di identificare le strutture sommerse con un teatro cosiddetto marittimo datato tra il II e I secolo a.C. Inizialmente scambiato per una peschiera, a riconoscerlo è stata l’equipe del dipartimento di Studi umanistici dell’università IULM di Milano, diretto da Giovanna Rocca, che dal 2019 esplora e studia i fondali baiani dell’area posta a meridione del fortino Tenaglia, già oggetto di una prima indagine alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso.
"Le foto aeree sono indispensabili nel lavoro iniziale di ricerca – spiega Filippo Avilia, professore di Archeologia subacquea alla IULM, che coordina le ispezioni a mare -. Vengono utilizzate anche quelle storiche scattate a scopo tattico dai velivoli della RAF (Royal Air Force), l’aviazione militare britannica, durante la seconda guerra mondiale, una sorta di mappatura di tutto il territorio italiano utile a fornire dati sui siti strategici da bombardare". Sono stati, poi, i rilievi sott’acqua a gettare nuova luce sulla fitta successione di rovine sotto il costone della fortezza quattrocentesca, inabissate a causa del fenomeno del bradisismo, e a fornirne una più precisa documentazione planimetrica. "La forma semicircolare, come ben si nota dall’alto, non riconduce di certo a quella di una peschiera, come invece si era pensato finora – illustra l’archeologo -. Ed infatti le successive immersioni hanno dato riscontro che si tratterebbe di strutture afferenti ad un teatro perché i semicerchi tendono a salire come quelli di una cavea, perché non sono presenti le tipiche vasche come nelle peschiere e perché proprio accanto abbiamo individuato un piccolo impianto termale che mal si concilia con la piscicoltura". Del resto il semicerchio a Baia si apre verso l’interno, mentre in genere le peschiere romane presentano l’arco verso il mare, e qui sull’arco superiore si trovano semipilastri e semicolonne in opera laterizia, non propriamente adatti per un vivaio ittico.
Connotazioni specifiche fanno pensare, dunque, ad un piccolo teatro dalla scenografia molto suggestiva. "Il manufatto è rivestito di cocciopesto – sottolinea Avilia -, questo probabilmente per consentire il suo allagamento e potervi svolgere rappresentazioni a tema marino, ad esempio legate ai miti. Proprio ai lati della scena sono visibili due passaggi stretti dai quali si faceva defluire l’acqua, che presentano segni di scanalature verticali per la saracinesca di chiusura. Abbiamo rintracciato, inoltre, i due pozzetti, sempre di fianco la scena, per il sollevamento dell’auleum, cioè l’antico sipario, in pratica i buchi dove scorrevano le funi". L’ultima campagna estiva di ricognizioni geo-archeologiche, appena conclusasi, che ha riguardato altresì lo studio della costa tufacea soggetta ad erosione in previsione di interventi per salvaguardare e consolidare non solo gli elementi a mare ma pure quelli a strapiombo nell’alta falesia, si è svolta nell’ambito di un prezioso accordo di collaborazione tra l’ateneo milanese, il Parco archeologico dei Campi Flegrei, guidato da Fabio Pagano, e la Soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli, con il supporto logistico di “Mare nostrum” dell’Archeoclub d’Italia aps.
Le nuove indagini hanno permesso una illuminante re-interpretazione dei resti che apre, a sua volta, ad una interessante ipotesi: una stretta connessione tra i resti della villa romana che si trovano, in cima, nel cosiddetto padiglione Cavaliere del castello di Baia e, per l’appunto, quelli nello specchio d’acqua sottostante. Potrebbe trattarsi, insomma, di un unico grande complesso residenziale, che si estendeva su terrazzamenti adeguati all’orografia del declivio. Balconi naturali da cui si godeva un panorama mozzafiato e collegati per mezzo di gallerie carrabili a tornanti scavate nel tufo della rupe, dalla sommità dove c’è il mastio fino al quartiere giù a mare dove c’era il teatro. "La datazione del teatro all’età repubblicana, tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C., – ricorda Avilia – sulla base delle strutture murarie per lo più in opera reticolata, corrisponde con le prime fasi insediative della villa romana all’interno del castello aragonese. Ci potremmo trovare di fronte ad una maestosa dimora appartenente ad un personaggio di spicco, una villa d’otium, del resto Baia era frequentata dai rappresentanti del gotha politico di Roma, imperatori come Claudio, potenti senatori come Cicerone. Non dimentichiamo che sotto il forte a mare abbiamo trovato le tracce di una grossa piattaforma in opera cementizia, forse un padiglione marittimo o un piccolo faro, c’era poi un molo per l’approdo delle imbarcazioni, tutti particolari che ci raccontano qualcosa di magnificente".
È salendo lungo la rampa che porta in cima al castello di Baia che tutto man mano diventa più chiaro. L’antico bastione domina il golfo di Pozzuoli su un promontorio a picco sul mare. Basta affacciarsi per immaginare una linea aerea che, per quasi cento metri, collega le vestigia romane inglobate nella parte alta della roccaforte aragonese con i ruderi, in basso, ancora visibili sott’acqua, eppure fino alle recenti ispezioni subacquee trascurati dall’indagine archeologica. Un’unica villa a cui gli effetti del suolo ballerino per il vulcanesimo attivo e del naturale sgretolamento hanno interrotto l’originaria continuità. Una villa tardo repubblicana che ricorda quel “quae subiectos sinus editissima prospectat”, cioè “che sovrasta dall’alto i golfi sottostanti”, quando lo storico Tacito in uno dei passi più avvincenti degli Annales ci restituisce la cronaca dell’orrendo matricidio neroniano. Agrippina venne seppellita sulla strada per Misenum e vicino alla villa di Cesare dittatore definita “editissima”. Lo scrittore latino fa, quindi, riferimento ad una posizione elevata della dimora sul poderoso banco di roccia tufacea.
La residenza baiana di Giulio Cesare, di cui ci parlano le fonti antiche, quindi, potrebbe corrispondere con questa sontuosa villa che andava dal castello al mare? Cosa potrebbe darci la conferma? Avilia non si scompone e, svestendosi per un attimo dei panni di scienziato serioso, risponde con una battuta caustica che mette a tacere la retorica del mistero: "Non esiste certezza, a meno che non siamo così fortunati da trovare il campanello di casa con sopra scritto Giulio Cesare". L’archeologia, si sa, è fatta di evidenze scientifiche e di visionarietà, di prove e di ipotesi. Certo è che magari la scoperta di un’iscrizione che citi Cesare costituirebbe una prova, ma intanto la ricostruzione della storia tassello su tassello, tra terra e mare, continua.