A 20 anni dal G8 di Genova: l’inferno di un’intera generazione
Mentre tutto accadeva, mentre un altro mondo possibile veniva fatto a pezzi ragazza dopo ragazzo, mentre correvo disperato, convinto fosse un colpo di stato, terrorizzato, pensando che forse non ne sarei uscito vivo, ricordo che in quel maledetto pomeriggio da cani del 20 luglio del 2001 sentivo in lontananza una canzone che, in quell’estate, mi era entrata in testa: “Dammi tre parole, sole cuore amore”, prima in classifica dal luglio 2001 per otto settimane. Perché alla fine questa è l’Italia: un inferno pieno di canzonette. E fu questo per noi il G8 di Genova: un inferno vero e proprio. Immotivato, cruento, disperato. E anche se qualche giornalista con il prurito alle mani ci ha voluto definire la generazione che ha perso la voce, la verità è un’altra.
Voi G8, noi sei miliardi
Vent’anni fa un'intera generazione è stata presa e chiusa in una gabbia per topi fatta di vicoli e stradine, il luogo ideale per massacrare indiscriminatamente: come ha detto Amnesty International, “la più grave sospensione dei diritti dell'uomo in un paese occidentale”. Un disegno chiaro che si realizza sotto gli occhi di tutti: la distruzione del Movimento antiglobalizzazione, il Social Forum, il totale schiacciamento dei diritti fisici e intellettuali. Un movimento troppo pericoloso per la sua stessa natura, perché per la prima volta insieme protestavano anime totalmente differenti: Pax Christi e antagonisti, pacifisti e anarchici, cattolici e radicali. Voi g8, noi sei miliardi come recitava uno degli striscioni più noti di quei giorni. Un altro mondo appariva davvero possibile e forse per questo andava fermato.
Piazza Alimonda h 17.27
Ed è questo uno fra i più grandi rammarici della mia generazione: quelli del Social forum sono stati fra i giorni più belli della mia vita, persone totalmente differenti fra di loro che dialogavano e parlavano non per migliorare la propria condizione ma per creare le condizioni per l’esistenza di un mondo diverso, sostenibile, condiviso, umano. Ma alle 17.27 cambia tutto: vengono sparati due colpi di pistola e un ragazzo viene ucciso in piazza Alimonda. E per molti Genova, il Social Forum, il Movimento si ferma per sempre lì, in quel pomeriggio, in quella piazza, cristallizzato in quella foto che ritraeva un ragazzo in canotta bianca e passamontagna scaraventare un estintore contro un defender dei carabinieri. Un “atto di violenza individuale” come continua a dire, ancora dopo vent’anni, chi non c’era e chi non vuole conoscere la verità o piuttosto non vuole che venga conosciuta.
Le verità nascoste
Da svariate ore venivano massacrate, indiscriminatamente, persone inermi e indifese di ogni età che manifestavano pacificamente: ragazzi, ragazze, anziani, uomini, donne, ragazzini e ragazzine con meno di 16 anni; da circa 2 ore venivano sparati di continuo lacrimogeni ad altezza uomo, per questo motivo molti di loro si coprivano il volto per proteggere naso, occhi e bocca alla "men peggio" e con mezzi di fortuna dai gas nocivi che procuravano orticaria, problemi respiratori, forti bruciori agli occhi; da più di 2 ore vengono fotografati diversi carabinieri intenti a sparare ad altezza uomo colpi che, per puro caso, non feriscono nessuno; da più di 2 ore svariate camionette passavano a tutta velocità tra la folla che manifestava, zigzagando fra coloro i quali cercavo di sfuggire; da qualche minuto in Piazza Alimonda un defender dei CC è fermo seppur avesse dietro di sé una via di fuga di sette metri dal muro più vicino (come dimostrano svariate foto e video) e i manifestanti, fra i quali Carlo Giuliani, si trovano a circa 5 metri di distanza dalla stessa; da svariati secondi un carabiniere all'interno di quella stessa jeep impugna una pistola, puntandola ad altezza uomo verso i manifestanti; è soltanto allora che Carlo si china per prendere un estintore vuoto con l'intento forse di lanciarlo verso il carabiniere che avrebbe potuto sparare verso qualche manifestante; alle 17.21 viene esploso un colpo che colpisce al volto Carlo Giuliani, un ragazzo di 23 anni con l'unica colpa di voler cercare di difendersi; da svariate ore, ovunque, manifestanti come Carlo venivano massacrati da carabinieri e poliziotti. Da 20 anni la maggior parte degli italiani e delle italiane parla a sproposito di Carlo Giuliani ignorando la montagna di prove foto e video che documentano i fatti, ma attenendosi a quell'unica ingannevole foto proposta da tutti i mass media per raccontare un'unica, sola versione distorta dei fatti.
Chi non sa nulla di Genova, taccia per favore
Ed è per questo che anch’io in quel pomeriggio mentre correvo disperato e mi fermavo terrorizzato perché mi accorgevo che la mia maglietta era zuppa di sangue e non volevo guardare perché avevo paura che fosse mio; mentre cercavo di telefonare alla mia mamma perché pensavo che sarei morto sicuramente, o mi avrebbero arrestato e non l’avrei più rivista e non avrei più potuto chiederle scusa per essere andato via senza tornare; mentre credevo di svenire ma cercavo di non farlo perché avevo paura che poi non mi sarei più svegliato; mentre mi domandavo perché tutto questo stesse accadendo, e mentre tutto questo accadeva, pensavo solo che, se avessi avuto una pistola, un fucile o un qualcosa di grosso, lo avrei raccolto e avrei cercato di difendermi o difendere quella povera ragazzina che stavano tirando per i piedi facendole sbattere la testa per terra, quella che non smetteva di sanguinare e urlare di terrore, pensavo che l’avrei raccolto, quell’oggetto, e l’avrei tirato con tutta la mia forza contro quegli animali.
Perché in momenti come quelli puoi fare soltanto due cose: o scappi o ti difendi e non c’è giudizio su nessuna delle due. O scappi o ti difendi.
Quindi, chi non sa nulla di Carlo Giuliani è meglio che taccia, per favore.
Solo chi è stato a Genova può capire cosa vuol dire essere stato a Genova. Solo chi è stato a Genova sa cosa vuol dire mettersi a piangere senza motivo perché ti trovi in mezzo alla folla. Solo chi è stato a Genova può capire cosa vuol dire, anni dopo, sudare freddo, sentirsi male, avere nausea e vomito, solo perché dei carabinieri ti fermano di notte per un normale controllo di routine. Solo chi è stato a Genova conosce la differenza fra una mano che offende e la resistenza. Solo chi è stato a Genova sa cosa vuol dire Genova.
Vent’anni dopo
Sono passati vent’anni da quel 20 luglio del 2001, ho una ragazza, una bimba e un bimbo bellissimi, che sono un piccolo pezzo di quell’altro mondo che credevo e continuo a credere possibile, ma non c’è stato giorno in cui non abbia pensato anche solo per un istante che, se ci fossi stato io quel pomeriggio in piazza Alimonda forse non sarei scappato. Forse. Se ci fossi stato io quel giorno al posto di Carlo oggi non sarei qui a raccontare del mio piccolino grande e della mia piccolina piccola.
Sono passati 20 anni e molti dei bambini e delle bambine che in quel luglio avevano pochissime primavere e in quell’estate giocavano a costruire castelli di sabbia, ora sono adulti, hanno poco di più vent’anni, l’età che avevo io durante i fatti di Genova, che aveva Carlo in quel 20 luglio. E la cosa che più mi ha commosso ed emozionato in questi giorni in cui ho riportato in scena il mio monologo sui fatti di quei giorni, è stato vedere tantissimi e tantissime giovani, applaudire in piedi a fine spettacolo ed aspettarmi per parlare ancora e abbracciarmi e ringraziarmi e parlare ancora.
Perché alla fine, è vero, sono tantissime le persone che dopo quel pomeriggio non hanno mai più partecipato ad alcuna manifestazione, non hanno mai più preso parte ad alcuna attività politica o di piazza di nessun genere, ma che lo vogliate o no, nonostante tutto, siamo in tantissimi e tantissime a credere ancora che un altro mondo sia davvero possibile, anzi necessario.
Non è vero che i ribelli muoiono a vent’anni anche quando non muoiono: non siamo la generazione che perso la voce, ci hanno strappato le corde vocali a mani nude. È vero, hanno ammazzato i nostri vent’anni e li hanno buttati per terra… ma un altro mondo è ancora possibile, cazzo se è possibile.
Dammi tre parole: sole, cuore e amore.