84 anni fa debuttava “Natale in casa Cupiello” di Eduardo
Oggi in tutte le case napoletane e in moltissime case d'Italia si svolge il consueto rito della memoria, la visione in famiglia di “Natale in casa Cupiello”. Quest'anno però qualcosa è diverso, Luca De Filippo – cioè Luca, basta il nome come per Eduardo – non è più tra noi. Poco meno di un mese fa, infatti, se n'è andato così, senza preavviso, lasciando un vuoto incolmabile e una grande amarezza: troppo presto! Perciò rivedere per l'ennesima volta la sua magnifica interpretazione di “Nennillo” non sarà più come prima. E allora quell'emozione che tutti noi, napoletani e no, sentiamo quando in famiglia ci ritroviamo davanti a una commedia di Eduardo, e specialmente a Natale con questa commedia; quell'emozione che ci ricorda di quando eravamo bambini, dei nonni, degli zii o dei parenti che ora non ci sono più; quel ricordare quando si era nient'altro che figli, protetti, che poi svanisce con la maturità… tutto questo e molto altro lo dedichiamo a te Luca. Da questo Natale entri ufficialmente nel Pantheon dei grandi artisti che questa città ha prodotto e che sono l'incarnazione della nostra identità, del nostro sentirci comunità.
Era il 25 dicembre del 1931, quando al Cinema Teatro Kursaal di Napoli, una sala oggi scomparsa, la Compagnia del “Teatro Umoristico I De Filippo”, appena formatasi e composta dai tre fratelli Eduardo, Peppino e Titina, presentava per la prima volta una piccola commedia, un atto unico, in programma subito dopo il film della sera. L’accordo con l’impresario prevedeva nove giorni di repliche, ma dato l’inaspettato successo rimase in cartellone fino alla metà di maggio. Si trattava della prima versione di “Natale in casa Cupiello” che oggi corrisponde grossomodo al secondo atto della commedia.
Già perché forse non tutti sanno che “Natale in casa Cupiello” è sì una delle opere più conosciute di Eduardo, ma è forse anche la più travagliata, tanto che lui stesso una volta la definì: “un parto trigemino con una gravidanza di quattro anni”. Alla commedia, infatti, fu aggiunto l’anno seguente (1932) un primo atto introduttivo e tre anni dopo (1934) un terzo atto conclusivo, nonostante non tutti siano d’accordo sulle date, altre fonti collocano nel 1943 la stesura dell’ultimo atto. Ma poco importa, ciò che conta è che si tratta senza dubbio di un’opera paradigmatica del teatro di Eduardo, molto utile per capirne la sua evoluzione drammaturgica.
L’atto unico di “Natale in casa Cupiello”, infatti, che come si diceva corrisponde all’attuale secondo atto è sostanzialmente una farsa che riprende i modi e le forme dell’antica farsa napoletana, una sorta di sceneggiata, tanto per capirci. Tutto è incentrato sulle battute, sulla goffagine dei personaggi, sugli ammiccamenti al pubblico e sui tormentoni (pensate solo alla “gamba nervosa” di Nennillo o al “Questo pure l’avete fatto voi?” che l’amante della figlia ripete a Luca Cupiello facendolo infuriare). È, in sostanza, una piccola commedia senza particolari velleità stilistiche, certo geniale come tutta l'opera di Eduardo, ma non ancora compiuta. Aveva dentro di sé una grande intuizione che probabilmente il pubblico ancora non poteva cogliere, ma che spinse il suo autore a lavorarci ancora. Negli anni seguenti Eduardo pur mantenendo come baricentro la vicenda originaria, amplia molto il discorso fino a renderla un’opera universale, un enorme affresco tragico, leggibile a più livelli, dove le metafore si fanno molto elaborate e complesse.
Pensiamo ad esempio alla simbologia della primissima scena, dopo la riscrittura, in cui Eduardo/Luca Cupiello e Nennillo sono a letto completamente coperti di cenci e scialli. D’improvviso con un gesto plateale, e simbolico, Luca Cupiello si sveglia e si mette a dissertare a proposito del rapporto tra veglia e sogno, poi inizia a litigare con la moglie per della “colla” e infine si dirige verso il presepe, una natura morta della famiglia, che ha bisogno, guarda caso, proprio di quel collante “che non è stato riscaldato” per essere ri-costruito. Ma la colla è fredda, come è fredda la stanza, come è freddo un cuore senza sentimento. Non si tratta di naturalismo quanto di un gioco di simboli, di metafore molto elaborate. Oppure pensiamo al finale quando Luca muore e sul letto di morte il figlio gli dice “sì, mi piace o presebbio” facendosi finalmente carico della responsabilità di tenere insieme la famiglia. Ecco, lì scopriamo finalmente che quel “presebbio” non è altro che la rappresentazione simbolica di un microcosmo, metafora di un’intera società e che in Eduardo è sempre la famiglia, che si serve di un’altra rappresentazione quale è il teatro, in cui peraltro c’è in scena una famiglia vera, per raccontare le tensioni del suo tempo. Insomma, un gioco di scatole cinesi dove la ricorrenza simbolica del Natale agisce da detonatore per un congegno molto articolato che evolve nei tre atti ed è supportato da un ricco apparato di didascalie in cui sono molto forti gli echi cechoviani. Esiste una parola molto precisa quanto abusata per definire e riassumere tutto questo: capolavoro.
Altro elemento che va tenuto in seria considerazione quando si parla di “Natale in casa Cupiello” è il contesto storico. L’Italia degli anni ’30, soprattutto in prossimità delle ricorrenze come il Natale, era invasa di cerimonie fasciste, di roboanti manifestazioni che celebravano il mito romano e italiano e che veicolavano una narrazione ben codificata: gioventù granitica, masse di lavoratori infaticabili, donne dedite alla famiglia e all’educazione della prole, ecc… ecc… Ma qual era invece l’Italia che, seppur con i modi della commedia popolare, i De Flippo raccontavano in “Natale in casa Cupiello”? La scena a cui assistiamo è quella di un “interno miserabile, popolato di personaggi incredibili, folli, egoisti, alienati, intrisi di miseria e malattia” come ha scritto Federico Fellini. Un microcosmo delirante e “addirittura conturbante” in cui avviene il disfacimento della famiglia, la sua dissoluzione, in cui vediamo l’incapacità di Luca Cupiello di essere padre, la volontà di Nennillo di sfuggire alle responsabilità, la forza di Concetta che regge sulle sue spalle il peso della crisi di un’intera società. È in conclusione un’opera che ha una valenza politica molto forte che risiede sia nella sua carica liberatoria sia nel ribaltamento che fa di quella tragica pagliacciata fascista che andava in scena per le strade dell'Italia di allora.