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70 anni fa il suicidio di Cesare Pavese, primo intellettuale moderno d’Italia

Il 27 agosto 1950 Cesare Pavese moriva suicida in una stanza d’albergo a Torino. E ci lasciava, a soli 42 anni, il primo intellettuale moderno d’Italia. Scrittore, poeta, traduttore, critico, perseguitato dal fascismo, lavorò in Einaudi dove curò la storica collana Coralli. A distanza di settant’anni, resta l’immensa opera di un impareggiabile spirito letterario.
A cura di Redazione Cultura
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Settant'anni senza Cesare Pavese. Poeta, romanziere, autore di racconti, traduttore, redattore, redattore, critico, sceneggiatore, figura di intellettuale moderno, anzi, modernissimo, che ci lasciava il 27 agosto del 1950, quando in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino, si tolse la vita ingerendo una quantità di sonnifero utile a togliergli la vita. Aveva soltanto 42 anni, era nato nel 1908. “Non fate troppi pettegolezzi” scrisse sul famoso biglietto d’addio. Si riferiva alle pene d'amore, successiva alla delusione d'amore ricevuta dall'attrice americana Constance Dowling, che se n'era volata negli Stati Uniti, non ricambiando il suo amore. Nemmeno, appena pochi mesi prima, era riuscito a sollevarlo da quello stato depressivo il Premio Strega che ricevette nel giugno del 1950 per "La bella estate".

A Constance sono dedicate le poesie della raccolta "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", come l'ultimo romanzo di Pavese "La luna e i falò". Nel suo "Diario" lo scrittore di Santo Stefano Belbo espresse la propria amarezza per non avere avuto Constance, bensì la sorella Doris, accanto a sé in occasione del conferimento del premio Strega.

Cesare Pavese: Einaudi, l'antifascismo, l'iscrizione al PCI

Cesare Pavese con Maria Bellonci alla serata finale del Premio Strega 1950
Cesare Pavese con Maria Bellonci alla serata finale del Premio Strega 1950

Precedentemente, nel 1934, dopo l'arresto di Leone Ginzburg, Pavese aveva domanda all'editore Einaudi per sostituire Ginzburg e dal maggio del 1934, in pieno regime fascista, incominciò la collaborazione con la casa editrice torinese Einaudi dirigendo per un anno "La Cultura" e curando la sezione di etnologia. Sempre quell'anno, riuscì a chiudere e inviare in lettura le poesie che sarebbe finite in "Lavorare stanca", le inviò ad Alberto Carocci che decise così di pubblicarle. Ma la politica repressiva del Duce era in agguato.

La sua frequentazione di intellettuali antifascisti gli costò l'arresto e la condanna al confino politico a Brancaleone Calabro, dove iniziò ad avvertire i morsi della depressione. Nel 1936, dopo un anno di confino, tornò libero pubblicò “Lavorare stanca”, poi scrisse due romanzi brevi “La bella estate” e “La spiaggia”. Durante la seconda guerra mondiale si rifugiò in campagna dalla sorella e trascorse diversi periodi nascosto nel convento di Crea.

Dal dopoguerra al suicidio: "Non fate troppi pettegolezzi"

Cesare Pavese nel 1950
Cesare Pavese nel 1950

Dopo la liberazione si iscrisse al Partito Comunista e scrisse il romanzo politico “Il compagno”, nel 1945 lasciò Torino per Roma, dove ebbe l'incarico di potenziare la sede dell'Einaudi nella Capitale. Nel 1947, inaugurò anche la nuova collana di narrativa dei "Coralli", oggi divenuta pietra miliare nel mondo editoriale. Continuò a scrivere, in preda a un disagio esistenziale sempre più profondo. Fino all'epilogo dell'estate 1950. Quando sulla prima pagina dei "Dialoghi con Leucò", raccolta di racconti stringatissimi che aveva pubblicato nel 1947, scrisse: "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi". Qualche giorno dopo si svolsero i funerali civili, al suicida e ateo Pavese

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