60 anni fa muore Jackson Pollock: la sua arte, geometria del gesto e dell’azione
“Questa non è arte, è uno scherzo di cattivo gusto”, titolava nel 1959 il Reynolds News, mentre il critico Craig Brown si dicharava stupefatto che “dei poster decorativi fatti senza un minimo di cervello abbiano potuto conquistare un posto nella storia dell'arte al fianco di Giotto, Tiziano e Velázquez”. Non si può dire insomma che il messaggio di Jackson Pollock sia stato compreso da tutti e subito. D'altra parte, tutti i più grandi artisti hanno tardato ad essere riconosciuti come tali, avendo ognuno in modo diverso precorso i tempi. Nel caso di Pollock, nonostante le critiche, anche in vita ebbe anche uno straordinario successo fin da quando, negli anni Quaranta, grazie a Peggy Guggenheim organizza la sua prima personale, aprendo anche una fase creativa che non avrà pari nella storia dell'arte informale americana.
L'arte come dinamismo dell'essere
La pittura di Jackson Pollock non nasce dal cavalletto: prende vita sul pavimento, attrae qualsiasi cosa attorno a sé, e lo stesso artista è al tempo stesso autore e parte integrante di quello che “accade” nel quadro. “Quando sono ‘nel' mio dipinto, non sono cosciente di ciò che sto facendo. Il dipinto ha una vita propria, e io provo a farla trapelare”, diceva Pollock.
La finalità ultima dell'arte non è la comunicazione: “dipingere è un modo di essere”, diceva. Un parallelismo fra vita e azione pittorica che non ha eguali, in cui la forza dirompente dell'artista entra nella tela, rompe la barriera fra realtà e rappresentazione e fa dell'azione, del gesto, l'unico vero portatore di significato. Non a caso il critico Harold Rosenberg definirà l'arte di Pollock “action painting”, una pittura dell'azione, del movimento, e della forza inarrestabile:
A un certo momento i pittori americani cominciarono a considerare la tela come un'arena in cui agire, invece che come uno spazio in cui riprodurre, disegnare, analizzare o esprimere un oggetto presente o immaginario. La tela non era più dunque il supporto di una pittura, bensì un evento.
Nel 1950 Hans Namuth, un giovane fotografo, propose di realizzare un servizio che ritraeva Pollock mentre era all'opera. Il pittore gli promise che avrebbe iniziato un nuovo dipinto appositamente per lui, ma quando Namuth arrivò al laboratorio Pollock gli andò incontro scusandosi e dicendogli che il quadro era già finito. Il racconto di Namuth è stupefacente:
Pollock guardò il dipinto. Poi, inaspettatamente, raccolse barattolo e pennello e iniziò a muoversi attorno al quadro. Era come se avesse improvvisamente realizzato che il quadro non era ancora finito. I suoi movimenti, dapprima lenti, diventarono via via più veloci e più simili ad una danza mentre scagliava pittura colorata di bianco, nero e ruggine sulla tela. Il mio servizio fotografico continuò per tutto il tempo in cui dipinse, forse una mezz'ora. In tutto quel tempo Pollock non si fermò. Come può una persona mantenere questo livello di attività? Alla fine disse: “Ecco fatto”.
Geometrie nascoste
Nonostante le opere di Jackson Pollock vennero considerate per molto tempo come create in modo "casuale", il matematico e artista Richard Taylor negli anni Novanta ha riscontrato nelle trame dei suoi dipinti la geometria dei frattali: un frattale è un insieme di figure che ricorrono su scala via via più ridotta, creando forme di eccezionale complessità. Un frattale ha una forma geometrica frammentata che può essere suddivisa in tante parti, ciascuna delle quali è una copia ridotta dell'insieme: nulla di astratto, in quanto questo fenomeno è presente in natura, nelle nuvole, nei rami di un albero, e nelle onde. Sovrapponendo ad alcuni dipinti un reticolo di caselle quadrate, Taylor potè confermare che in effetti alcune opere possiedono questa interessante proprietà: l'arte resta arte, ma questo particolare curioso aggiunge fascino ad un mito che dura ormai dai sessant'anni.