5 variazioni su Shakespeare: i laboratori della Biennale del Teatro
I laboratori sono stati il fulcro della Biennale del Teatro di Venezia 2013.
Sparsi per la città, hanno coinvolto drammaturghi europei, critici, registi e oltre 300 partecipanti provenienti da tutta l'Europa, attori, ballerini o semplicemente giovani curiosi. Perchè questo lavoro fosse sotto gli occhi di tutti il direttore del Festival, Àlex Rigola, ha programmato per l'ultimo giorno di eventi un percorso itinerante in 5 tappe attraverso la Giudecca, in cui osservare gli esiti finali di 5 laboratori sui personaggi shakespeariani. Scegliere Shakespeare è quasi un pretesto per dare la possibilità a 5 maestri – Angelica Liddell, Krystian Lupa, Jan Lauwers, Gabriela Carrizo e Claudio Tolcachir – di lavorare con i partecipanti e mostrare cinque approcci completamente diversi a un materiale simile. Un modo per dare l'idea della varietà poetica del teatro contemporaneo. Naturalmente non è attraverso un laboratorio che si possa definire il lavoro di un artista, cinque giorni e la necessità di esibire il proprio lavoro al pubblico hanno sicuramente costretto a una scelta lavorativa precisa, anche se sviluppata in modi assolutamente diversi dai cinque artisti.
Angelica Liddell apre il percorso con un lavoro sul ratto di Lucrezia, sullo stupro. I partecipanti, tutti uomini tranne un'unica donna, lavorano sul rapporto con la propria violenza e l'approccio personale che essa determina nel relazionarsi a un corpo femminile. Il risultato è forse il più completo dei cinque laboratori. Si intravede, nel lavoro messo in scena, l'energia e la precisione che Angelica ha mostrato anche nell'ottima messa in scena del suo spettacolo per la Biennale, El año de Ricardo.
Krystian Lupa lavora su Amleto. Gli attori del laboratorio (2 diversi per ogni esibizione delle 5 della giornata) improvvisano sul tema dell'incontro tra Amleto e Ofelia. Lupa, come ha specificato prima della rappresentazione, ha scelto di interessarsi più al lavoro laboratoriale che non a ciò che avrebbe poi visto il pubblico, e il pubblico assiste più o meno con la stessa mancanza di interesse all'improvvisazione degli attori.
Jan Lauwers lavora esattamente come ci si potrebbe aspettare da un laboratorio teatrale nel 2013. Nudità, vomito, bava, orgia e musica elettronica sono gli elementi su cui si costruisce il Re Lear del regista. Ma nonostante gli elementi non stupiscano, il lavoro è costruito con criterio, i partecipanti dimostrano evidentemente di essere attori capaci, un narratore regge bene i quindici minuti di rappresentazione crescente ed anche il finale, quasi una discoteca, non risulta così banale come potrebbe.
Gabriela Carrizo, dopo aver messo in scena con i Peeping Tom uno degli spettacoli migliori del festival, nella presentazione del laboratorio opta per un totale disinteresse nei confronti del pubblico. Ciò a cui si assiste è quasi incomprensibile, ogni iniziativa presa dagli attori viene interrotta e criticata dalla regista, ogni posa viene scomposta e riorganizzata. Eppure ne viene fuori un quarto d'ora forse non shakespeariano ma interessante, proprio perchè condotto da un'artista di indubbia qualità.
Infine chiude il percorso Claudio Tolcachir. Molti hanno definito il suo laboratorio il più completo, il migliore. In verità l'esito del laboratorio sul Macbeth in questo caso sembra tradizionale e non brillante. Una serie di scenette di stampo diverso, intepretate da attori anche capaci, si giustappone in uno spazio brevemente itinerante, per dare vita a delle variazioni più o meno metaforiche sul tema macbethiano dell'assassinio, che rimandano però a un tipo di teatro non troppo coinvolgente.
Al di là degli esiti diversi, occorre sottolineare ancora una volta che il lavoro laboratoriale fatto sul territorio è indubbiamente una scelta giusta. L'incontro di metodi di lavoro diversi, la possibilità per i partecipanti di confrontarsi e sviluppare un gusto e un giudizio, la possibilità di dialogare con i maestri e con gli altri giovani, è sicuramente un'iniziativa lodevole che potrebbe, se alimentata, venire in soccorso alla mancanza di idee e novità che negli ultimi anni il teatro soffre, almeno in Italia.