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5 luglio 1976: Pietro Ingrao, un comunista eletto Presidente della Camera dei Deputati

Il 5 luglio del 1976 accade qualcosa di assolutamente insolito nel quadro politico italiano in stallo da circa trent’anni. Il comunista Pietro Ingrao raggiunge lo scranno più alto di Montecitorio con i voti della Democrazia Cristiana.
A cura di Marcello Ravveduto
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L’accordo è stato raggiunto. Così al primo scrutinio il nuovo Presidente della Camera dei Deputati è eletto con 488 voti su 613, ovvero il 79,6 % dei parlamentari. Che si tratta di un passaggio storico nella storia dell’Istituzione parlamentare lo attesta il fatto che non ci sono astenuti. Tutti hanno espresso il proprio nome senza ritrosie.

Il 5 luglio del 1976 accade qualcosa di assolutamente insolito nel quadro politico italiano in stallo da circa trent’anni. Un comunista va occupare lo scranno più alto di Montecitorio con i voti della Democrazia Cristiana. Era già toccato a un socialista, Sandro Pertini, ma l’elezione era avvenuta nel 1968, dopo cinque anni di centro-sinistra organico in cui il Psi è diventato, tra alti e bassi (più bassi che alti) e tira e molla, alleato stabile della Dc.

Dunque anche la presidenza di Pertini, per quanto la carica morale del futuro Presidente della Repubblica rimane immune e autonoma dai compromessi delle segreterie dei partiti, rientra nella spartizione delle poltrone tra le forze politiche della maggioranza parlamentare.

Con Ingrao si inaugura la tradizione, che durerà fino alla fine della prima Repubblica, di offrire al principale partito di opposizione la terza carica dello Stato, al fine di attrarlo nel meccanismo di solidarietà istituzionale, depotenziandone la carica eversiva e lusingandone le aspirazioni di governo. Si avvia la fase consociativa che allargherà la corresponsabilità della maggioranza parlamentare al Partito comunista senza possibilità di accedere ai ruoli esecutivi. Un meccanismo perverso che eroderà il consenso elettorale storico raggiunto dal Pci con le elezioni del 21 giugno 1976.

Pietro Ingrao aveva da poco compiuto 61 anni quando assume l’incarico. Il partito lo sceglie per l’estremo rigore ma, forse, anche in ossequio ad una tripartizione che prevede al centro la guida del partito (Berlinguer) ai miglioristi i rapporti con l’estero (Napolitano) e agli operaisti la guida delle istituzioni (Ingrao). Uno schema che durerà fino al termine della strategia del compromesso storico (1979).

Dopo l’elezione il neo Presidente raggiunge la sua poltrona e pronuncia il discorso d’insediamento. Un discorso che a quarant’anni di distanza è ancora attuale:

«Questa legislatura si apre in un momento grave. Tutte le cose intorno a noi sottolineano l'urgenza di procedere ad un profondo rinnovamento della vita economica e dell'apparato produttivo, indispensabile per ridurre il flagello dell'inflazione, per aprire una possibilità di lavoro qualificato per milioni di giovani e di donne, oggi senza prospettiva, per restituire forza, prestigio e stabilita all'Italia nell'economia mondiale e nel tormentato orizzonte internazionale. Ciò domanderà grande rigore e giustizia nelle scelte che compirete, severità nel costume politico, intelligenza innovativa e respiro democratico nella mobilitazione delle energie creative di grandi masse umane, chiamate a portare il paese fuori dalla pesante crisi che lo percuote».

«Penso però di poter affermare che questi problemi, vissuti oggi in modo spesso angoscioso e stringente da migliaia di famiglie italiane, chiedono a noi, al paese, di camminare con nuovo slancio sulla strada maestra indicata dalla Costituzione, che fissa per noi tutti le regole della convivenza civile e politica e chiama le classi lavoratrici a partecipare finalmente alla direzione dello Stato, in questa Repubblica scaturita dal grande moto popolare e unitario della Resistenza. Il nostro è un popolo forte, maturo, che può e sa affrontare le prove e i sacrifici necessari, e sa darsi una giusta e responsabile autodisciplina, a condizione di essere sempre più chiamato a conoscere, a partecipare, a controllare».

«Chiedo alla stampa che ci aiuti con il suo libero giudizio. La larghezza del dibattito nel paese, la ricerca critica, il pluralismo e il confronto delle posizioni sono essenziali per la vita di un libero Parlamento. Il controllo dell'opinione pubblica ci farà forti, più legati alla gente. Perciò abbiamo bisogno del controllo delle masse e della trasparenza nelle nostre decisioni. Perciò siamo profondamente, direttamente interessati che sia garantita la vita della libera stampa e chiunque lavori nel campo dell'informazione giornalistica e radiotelevisiva possa conoscere pienamente la vita di questa Assemblea, di questa nostra casa».

«Invio da questa tribuna un saluto al popolo che ci ha chiamato ad interpretare le sue profonde ansie di cambiamento, alle grandi energie del mondo giovanile e femminile in movimento, a quella parte dell'Italia che nel Friuli in questi mesi è stata la più provata, ai milioni di italiani – di fedi e di ideologie diverse -, ma che tutti hanno sete di rinnovamento, e chiedono per sé, per i loro figli, per il paese, che si delinei finalmente una società di libertà e di giustizia».

Crisi, rinnovamento e partecipazione sono i pilastri del suo intervento, tre totem insoluti che ancora oggi caratterizzano il dibattito politico italiano, nonostante gli stravolgimenti dell’ultimo ventennio.

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