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40 anni fa muore Man Ray, “l’uomo saggio” che ha trasformato la fotografia in pura poesia

Dagli Stati Uniti alla vecchia Europa, dal dadaismo al surrealismo, la fotografia di Man Ray ha attraversato tutto il Novecento: rivoluzionando i mezzi e innalzando la fotografia ad arte, a poesia visiva.
A cura di Federica D'Alfonso
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Noir et Blanche, Man Ray
Noir et Blanche, Man Ray

“Noncurante, ma non indifferente”, è l'epitaffio che campeggia sulla sua tomba a Montparnasse. Man Ray muore il 18 novembre del 1976, e con lui se ne va non solo l'uomo, ma il Genio che ha innalzato la fotografia, da pura invenzione tecnica, a forma d'arte. Nato negli Stati Uniti con il nome di Emmanuel Rudnitzky, ben presto inizia a firmare le sue opere con il nome di “Man Ray”, ovvero “uomo saggio”. Piu che saggio, dissacrante: con la sua arte Man Ray ha attraversato tutto il Novecento, avendo come compagni di viaggio artisti come Duchamp e Dalì, ha destabilizzato la scultura con opere come “Cadeau”, e, soprattutto, ha donato all'arte un nuovo mezzo per guardare il mondo.

Dal dadaismo al surrealismo

Man Ray insieme a Marchel Duchamp
Man Ray insieme a Marchel Duchamp

Il 1915 si può considerare l'anno di “svolta” per questo artista poliedrico, dedito alla pittura e alla scultura ma grandissimo appassionato di fotografia. Grazie al collezionista Walter Arensberg, Ray conosce infatti Marcel Duchamp, che durante tutta la sua vita resterà, oltre che un punto di riferimento artistico, un grandissimo amico. Insieme, i due tentano l'assalto alla cultura americana: cercano di far scoppiare, senza successo, quel rifiuto della tradizione che in Europa aveva preso il nome di “Dada”. Ray riesce appena a far uscire un numero di "New York Dada", nel 1920, che il movimento negli States sembra già superato: lo stesso Ray si renderà conto che il dadaismo, in America, “non può vivere".

Fotogramma tratto da "Anemic Cinema" (1926)
Fotogramma tratto da "Anemic Cinema" (1926)

Se il progetto si rivela un insuccesso, fu proprio questo a portare Man Ray alla fama assoluta: trasferitosi con Duchamp a Parigi, è qui che il fotografo eleverà all'ennesima potenza la sua arte visionaria e innovativa. Divenuto il primo fotografo surrealista, una sorta di Dalì della pellicola, Man Ray si rende protagonista di un'altra grandissima rivoluzione: quella cinematografica. Pittore, scultore, fotografo e anche regista, il suo nome è legato a capolavori come “Le retour à la raison”, del 1923, e al più ben noto e discusso “Anemic cinema”, diretto insieme all'amico Marcel Duchamp. Alcune sue pellicole, come “Emak-bakia” e “Le mystères du chateau de dé” sono considerate un'anticipazione memorabile del cinema surrealista vero e proprio che di lì a pochi hanno avrà come maestro Luis Buñuel.

Ritratti di un'epoca

Man Ray insieme a Salvador Dali
Man Ray insieme a Salvador Dali

Ma il filo rosso che lega Man Ray alla propria epoca non è soltanto concettuale: le sue stesse fotografie si trasformano in ritratti, intimi e toccanti, di alcuni dei più grandi artisti dell'epoca: davanti alla sua macchina posano personalità come Jean Cocteau, James Joyce, Ernest Hemingway, Le Corbusier, Joan Miró, Ezra Pound e Salvador Dalì.

Genio e casualità

Il Genio, si sa, è un misto di follia e incoscienza. Ma, nel caso di Man Ray, anche di casualità. Fu infatti per caso, mentre sviluppa alcune fotografie, che l'artista “scopre” una delle tecniche che lo renderanno famoso: la rayografia. Si tratta di un'immagine che si ottiene poggiando direttamente sulla carta sensibile gli oggetti. Mentre si trova in camera oscura, Man appoggia alcuni oggetti di vetro su un foglio di carta vergine che era finito fra gli altri, e dopo aver acceso la luce, la scoperta: si sono create delle immagini deformate, come se fossero in rilievo.

Un foglio di carta sensibile intatto, finito inavvertitamente tra quelli già esposti, era stato sottoposto al bagno di sviluppo. Mentre aspettavo invano che comparisse un'immagine, con un gesto meccanico poggiai un piccolo imbuto di vetro, il bicchiere graduato e il termometro nella bacinella sopra la carta bagnata. Accesi la luce; sotto i miei occhi cominciò a formarsi un'immagine: non una semplice silhouette degli oggetti, ma un'immagine deformata e rifratta dal vetro, a seconda che gli oggetti fossero più o meno a contatto con la carta, mentre la parte direttamente esposta alla luce spiccava come in rilievo sul fondo nero.

Una poetica in immagini

Glass Tears, Man Ray (1932)
Glass Tears, Man Ray (1932)

Quando compra la prima macchina fotografica, nel 1914, la fotografia aveva avuto vita brevissima. Si trattava di un genere per lo più sconosciuto, le cui potenzialità erano ancora fortemente inesplorate. "Non esiste essere avanti rispetto ai tempi: i tempi sono sempre indietro", era solito dire. Ebbene, trovarsi di fronte uno scatto di Man Ray vuol dire guardare come attraverso il buco di una serratura, una rivoluzione artistica senza precedenti, vuol dire assistere “in diretta” ai tempi che fanno un brusco salto in avanti. Quella di Man Ray fu una sperimentazione unica nel suo genere, che inventa i nuovi modi espressivi del ritratto fotografico e restituisce, attraverso l'impressione di realtà, atmosfere altre, altri mondi.

L'obiettivo di Man Ray è fortemente intriso di avanguardia: ambiguità, irriverenza e sperimentazione sono le parole d'ordine della sua poetica in immagini. La macchina fotografica passa, con lui, dall'essere un'innovativa invenzione tecnica a un mezzo attraverso il quale esplorare l'elemento surreale nel reale: emblema di un'esperienza artistica e comunicativa che intende modellare il reale stesso come sogno, meraviglia, incantamento e, non raramente, come incubo ad occhi aperti.

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